di Gabriele Checchia, presidente del Comitato Strategico. Mentre prosegue – con devastazioni e massacri che volevamo credere ormai appartenere al passato – l’avanzata delle forze russe nell’Ucraina sud-orientale, con la concreta possibilità di una presa di controllo da parte di Mosca dell’intero Donbass se non oltre, la NATO si accinge a tenere a Madrid, dal 28 al 30 del corrente mese, uno dei più importanti vertici della sua storia.
Un vertice non a caso definito dal Segretario Generale dell’Alleanza – in occasione della sua recente visita a L’Aia per un incontro preparatorio con sette Capi di Stato e/o governo alleati – “historic and trasformative” e chiamato ad adottare deliberazioni su un insieme di temi sensibili: da quelle relative – per riprendere le parole dello stesso Stoltenberg – al sostegno “da fornire all’Ucraina nel breve e medio/lungo periodo” a quelle necessarie per consentire all’Alleanza di dotarsi di “una più robusta e immediatamente attivabile capacità di difesa avanzata “a quelle, infine, che impronteranno il nuovo Concetto Strategico per far fronte al meglio, nella fedeltà ai valori fondanti, a un contesto di sicurezza “profondamente mutato”. Senza dimenticare le decisioni che dovranno parimenti essere assunte – ove, come auspicabile ma tutt’altro che certo, dovesse registrarsi nell’occasione una qualche attenuazione della posizione ostativa della Turchia di Erdogan – per avviare il percorso di adesione alla NATO di Svezia e Finlandia in un’ottica di finalizzazione in tempi per quanto possibile ravvicinati.
In sostanza, l’Alleanza sarà chiamata a offrire ulteriore conferma in occasione dell’imminente appuntamento nella capitale spagnola di almeno quattro suoi caratteri distintivi: 1) quello di rappresentare la sola Organizzazione in seno alla quale le 30 Nazioni che la compongono sono in grado di consultarsi quotidianamente nonché decidere e agire insieme su tutte le questioni di
sicurezza di interesse comune. Sempre sulla base di quella preziosa regola del “consensus” che ne costituisce uno dei tratti qualificanti; 2) quello di esprimere in maniera altamente simbolica ma anche, ogniqualvolta necessario, operativa il profondo legame tra gli Alleati europei da un lato (21 membri della UE lo sono del resto anche della NATO e diverranno 23 su 27 una volta completato l’iter di adesione di Stoccolma ed Helsinki) e Canada e Stati Uniti dall’altro su questioni securitarie cruciali, e direi “esistenziali” alla luce di quanto sta avvenendo in Ucraina.
La capacità dell’Alleanza di assicurare una presenza militare significativa, strutturata e di lungo periodo degli Stati Uniti sul suolo europeo è del resto valore aggiunto difficile da sottovalutare per una pluralità di motivi. Non ultimo tra questi il disastro cui – insieme, certo, con altri fattori – condusse il disimpegno americano e il sostanziale disinteresse di quella dirigenza per le vicende del nostro Continente dopo la prima guerra mondiale; 3) quello di rappresentare tuttora (e, ritengo, per molto tempo a venire) il pilastro della sicurezza e difesa dell’area euro-atlantica in continuità con la prova fornita nei difficili anni della “guerra fredda”; 4) quello infine di confermare, una volta di più, la sua capacità di adattamento al mutare del panorama di sicurezza internazionale.
E’ nell’unità intorno a valori condivisi che ha sempre saputo trovare nei momenti cruciali che risiede altresì la forza di un’Alleanza che celebra quest’anno il suo 73mo compleanno.
Certo, essa ha conosciuto momenti di crisi anche seri: da quello legato alla vicenda di Suez nel 1956 (con la frattura tra Parigi e Londra da un lato e Washington dall’altro) a quello degli euro-missili negli anni ’80 a quello, più recente, innescato dalla guerra all’Iraq del 2003 con conseguente frattura tra la cosiddetta “vecchia” (in sostanza l’Europa “carolingia”) e la “nuova” Europa costituita dai Paesi da poco sottrattisi al giogo sovietico e altre, probabilmente, ve ne saranno. Ma tali crisi sono, a oggi, tutte state superate nel segno di un superiore interesse collettivo.
La NATO appare in ogni caso, in questo momento, forte di una unitarietà di intenti certamente non prevista dal Cremlino alla vigilia dell’attacco all’Ucraina ed è, questo, patrimonio da conservare gelosamente. Anche se non sono da sottovalutare le affioranti diversità di accento tra talune Capitali europee (in particolare, ancora una volta, Parigi e Berlino da un lato, con le quali Roma è in stretto contatto, e Washington e Londra dall’altro) sulle modalità e sull’urgenza da conferire all’avvio di un negoziato tra Mosca e Kiev in presenza delle necessarie pre-condizioni, a cominciare da una a tutt’oggi assente disponibilità del Cremlino ad arrestare la propria offensiva.
Se parlo di patrimonio da custodire gelosamente è anche perché – in aggiunta all’aggressione all’Ucraina e alla sua sovranità da parte della Russia di Putin (dico “Russia di Putin” perché vi è anche un’altra Russia certo minoritaria ma non assente, coraggiosa, che ci è vicina e non possiamo abbandonare) – altre sfide richiedono oggi più che mai una forte “coesione atlantica”.
Esse vanno dalle sempre più sofisticate minacce cyber e minacce “ibride” (sul terreno, ad esempio, della disinformazione o dell’uso politico e ricattatorio delle forniture alimentari cerealicole in primis – vedasi il blocco dei porti ucraini da parte di Mosca – e del dramma migratorio: basti pensare al cinico comportamento del regime di Lukashenko nei mesi scorsi) al duro confronto geo-politico in atto tra le nostre democrazie e i regimi autocratici (Russia e Repubblica Popolare Cinese in primis, senza dimenticare la Repubblica Islamica dell’Iran e la Corea del Nord), al terrorismo, in tutte le sue forme, alle ricadute dei mutamenti climatici (vero e proprio moltiplicatore dei fattori di crisi), alle sfide poste all’Occidente dalle cosiddette “Emerging Disruptive Technologies – EDT” (Intelligenza Artificiale, informatica quantistica…) particolarmente pericolose ove impiegate a fini offensivi da regimi incompatibili con i nostri valori.
Sono tutte “sfide globali” che nessun Paese Alleato può affrontare da solo, neppure gli Stati Uniti con i quali è anzi indispensabile vieppiù rafforzare la collaborazione sia a livello politico-diplomatico che tra le rispettive industrie di punta nel settore delle alte tecnologie;
In sostanza, nel pieno della più grave crisi geo-politica in Europa dal dopoguerra a oggi, l’esigenza di una relazione transatlantica robusta e ad ampio spettro è più evidente che mai.
Come ama ripetere il Segretario Generale Stoltenberg è questo il momento per l’Alleanza di: “rimanere forte sotto il profilo militare – in primis, dato il momento, in termini di capacità di deterrenza – diventare più forte sotto il profilo politico (attraverso ad esempio un’accentuazione delle consultazioni tra Alleati e con i maggiori partner nel mondo), adottare un approccio più globale” senza per questo trasformarsi in una NATO globale. Sviluppo che sarebbe tra l’altro incompatibile col perimetro di competenza, quello euro-atlantico, definito dal Trattato istitutivo.
Prima di entrare più nel dettaglio con riferimento al prossimo “Concetto Strategico” (il testo che fissa periodicamente le linee guida di azione per l’Alleanza sulla base di una condivisa valutazione delle minacce) qualche considerazione sulla crisi russo-ucraina. Al di là delle diverse valutazioni sulle cause di fondo dell’invasione russa l’Alleanza è unita nel condannarla e nel tentativo di contrastarla.
Va da sé che essa è poi coesa sulla base dell’art. 5 del Trattato di Washington (“uno per tutti, tutti per uno”: la cosiddetta “clause-Mousquetaire”) nella volontà di difendere “ogni centimetro di territorio alleato” ma anche di evitare – facendo pervenire per tempo gli opportuni segnali dissuasivi al Cremlino – che il conflitto si allarghi al di là del territorio ucraino coinvolgendo direttamente Paesi membri della NATO con conseguenze potenzialmente devastanti.
Nel merito le conseguenze innescate dall’aggressione russa al vicino Paese hanno già portato:
– all’attivazione per la prima volta, della NATO Response Force – NRF, istituita nel 2002 al summit di Praga;
– a un salto qualitativo e quantitativo negli investimenti e acquisti per la difesa (100 miliardi di euro) da parte di una sino ad ora riluttante Germania determinata, almeno stando a quanto dichiarato dallo stesso Cancelliere Scholz in un vibrante discorso al Bundestag lo scorso 27 febbraio, a investire ogni anno più del 2% del proprio PIL in spese per la difesa;
– sono stati costituiti 8 battaglioni multinazionali da dispiegare ai confini orientali dell’Alleanza: in Polonia, in Bulgaria, in Ungheria, nei tre Stati baltici, in Romania e in Slovacchia, con contributi in termini di uomini e mezzi sia americani ed che europei, Italia compresa (vi sono ormai circa 100.000 militari USA in Europa: numero certo inferiore a quello dei momenti del più tesi della “guerra fredda” ma superiore a quello precedente l’annessione russa della Crimea nel 2014);
– indotto due solide democrazie nordiche con un’antica tradizione di neutralità (appunto Svezia e Finlandia) a smarcarsi da tale secolare orientamento per chiedere, sull’onda di un visibile mutamento in tal senso delle rispettive opinioni pubbliche, di entrare far parte a pieno titolo dell’Alleanza (pur essendone da tempo partner importanti, apprezzati e credibili anche in termini di inter-operatività delle forze).
Tale sviluppo fa sì, nelle parole del direttore dell’“Estonian Foreign Policy Institute”, Kristi Raik, che “per la prima volta nella storia avremo tutti i Paesi del nord Europa e quelli baltici riuniti nello stesso Trattato di difesa collettiva. E’ un cambiamento importante che creerà più coesione nella Regione”. Né va dimenticata, aggiungo, la recente non meno importante e plebiscitaria decisione danese di rinunziare alla clausola di “opt-out a suo tempo utilizzata per aderire, infine, alla politica di difesa comune europea.
Vengo al prossimo vertice di Madrid e ai principali risultati che è lecito attendersi.
E’ in primo luogo, scontato “rebus sic stantibus” che in quell’occasione i Capi di Stato e di Governo alleati formalizzeranno un’accentuazione della presenza militare della NATO ai confini orientali dell’Alleanza (dunque senza sconfinamenti e sempre in un’ottica difensiva e di deterrenza), così come un salto qualitativo nella natura di tale dispositivo.
Si andrà in sostanza verso un rafforzamento della postura di deterrenza e difesa della NATO che dovrà essere ben strutturata, credibile e sostenibile nel medio/lungo periodo. In tale nuova postura di difesa verrà ovviamente integrata la componente cyber, anche per contrastare le note capacità offensive russe (e cinesi) su tale terreno. In altri termini, per trarre una prima conclusione di natura per così dire geo-politica, vi sarà un aumento anche se non massiccio nel numero delle unità dispiegate ma crescerà soprattutto e non di poco, in termini tra l’altro di rapidità di risposta, la credibilità della deterrenza e della difesa alleata.
Proprio il contrario di quello che il nuovo Zar si prefiggeva con la sua brutale aggressione all’Ucraina, scommettendo su una sostanziale disarticolazione dell’Alleanza a fronte di una prova dura e inattesa.
Qualche considerazione su altri temi importanti che saranno affrontati al Vertice e ne impronteranno il Comunicato Finale.
La Cina continuerà probabilmente a essere definita non un “avversario” quanto, piuttosto, un “rivale sistemico”. Rivale sistemico che pone sfide serie per l’Alleanza testimoniate tra l’altro dai seguenti fattori: 1) l’impressionante crescita del suo arsenale militare nucleare e convenzionale, a cominciare dai missili ipersonici e dal recente varo della portaerei di ultima generazione Fujian interamente “made in China” e tecnologicamente competitiva con quelle statunitensi; 2) la sua alleanza, dichiaratamente “indefettibile” (ma i fatti diranno se sarà davvero così), con la Russia di Putin nel segno di una comune lotta “al mondo unipolare a guida statunitense” e ai valori di cui questo è espressione; 3) la sua diplomazia di potenza basata su accordi con clausole finanziarie molto impegnative, e dunque sovente difficili da rispettare per i Paesi più fragili (basti pensare a quelli conclusi da Pechino, che sta ora passando all’incasso, per la realizzazione in tali Paesi di progetti funzionali alla “Via della seta”); 4) le frequenti intimidazioni, con minacciose esercitazioni navali ed aeree, nei confronti di Taiwan e della sua democrazia. Il Comunicato Finale del Summit conterrà in ogni caso un linguaggio all’altezza delle preoccupazioni che la sempre maggiore assertività di Pechino ormai da tempo suscita in ambito atlantico e in seno alle grandi democrazie dell’Indo-Pacifico.
E’ un’assertività con pesanti implicazioni, ove non contrastata, per la sicurezza alleata nel suo complesso. Anche quella cinese è in ogni caso una sfida troppo grande per essere affrontata da un solo alleato, pur se si tratta degli Stati Uniti.
I “leader” alleati converranno altresì di intensificare gli sforzi per investire di più e più rapidamente nel settore della difesa. Anche se, va detto, il 2021 è stato il settimo anno consecutivo di crescita al riguardo per gli Alleati europei e il Canada: come testimoniato da ultimo dalla per molti versi inattesa decisione dell’attuale Esecutivo tedesco cui ho sopra fatto riferimento.
A Madrid come sopra anticipato verrà poi adottato il nuovo “Concetto Strategico”, a 12 anni da quello varato a Lisbona in un contesto internazionale profondamente diverso.
Basti pensare, e lo dico a titolo di esempio, al fatto che il documento approvato nel 2010 nella capitale portoghese: a) si riferisce alla Russia come “partner strategico”; b) menziona brevemente le sfide attuali (da quelle oggi dominanti di tipo cyber a quelle legate alle “Emerging Disruptive Technologies”; c) non menziona la Cina.
In altre parole esso sembra appartenere a un altro mondo perché il mondo è, da allora, profondamente cambiato e non in meglio come la tragedia ucraina si occupa quotidianamente di ricordarci. Andranno comunque salvaguardati ad avviso italiano, e la nostra Diplomazia si sta attivamente adoperando a tal fine, due ruoli chiave assegnati alla NATO dal Concetto Strategico di Lisbona. Ruoli che restano a nostro avviso fondamentali al di là della “emergenza” rappresentata dai drammatici sviluppi in atto in Ucraina e dalla “minaccia russa” che non dovrà però monopolizzare, ferma restando la sua gravità, il futuro dell’Alleanza. Vale a dire – in aggiunta alla “difesa collettiva” ai sensi dell’articolo 5 che resterà la chiave di volta dell’Alleanza – quelli della “gestione delle crisi” in senso lato e della “sicurezza cooperativa”, compiti entrambi da porre in essere attraverso una stretta cooperazione con i cosiddetti “key-partner across the world”.
Ciò detto, il Concetto Strategico che uscirà dal Vertice di Madrid non potrà non riflettere il “nuovo mondo” cui ho sopra fatto riferimento, non solo nuovo ma anche più pericoloso ed imprevedibile.
Non sarà però un’istantanea. Piuttosto assomiglierà a un film, anticipando le dinamiche così come le criticità e le minacce cui ci troveremo confrontati nel prossimo futuro. Indicherà altresì, per quanto possibile in maniera credibile, come potremo affrontare allo stesso tempo l’insieme di tali sfide.
Nella valutazione italiana il nuovo Concetto Strategico dovrà in primo luogo fornire una risposta a un certo numero di problemi che ci sembrano prioritari.
Tra questi: A) come rapportarci alla Federazione Russa non solo oggi ma in prospettiva (difficile, ma necessario per tutti i noti motivi, tornare a un rapporto più o meno normale e costruttivo con Mosca specie dopo le recenti durissime esternazioni di Medvedev contro l’Occidente su Telegram del 7 giugno); B) dovrà poi riformulare la postura di difesa dell’Alleanza in un ambiente in rapido mutamento “dove gli attacchi cyber, i droni armati e il riscaldamento globale pongono seri problemi al miliardo di persone che la NATO è chiamata a proteggere”; C) definire, come anticipato, la “policy” dell’Alleanza nei confronti della RPC per i prossimi anni lanciando a Pechino segnali di adeguata fermezza (come caldeggiato, in particolare, da Washington e dalla Gran Bretagna post-Brexit) senza per questo adottare un atteggiamento di confronto a tutto campo che rischierebbe tra l’altro di accelerare la saldatura dell’asse Mosca-Pechino.
Il nuovo Concetto Strategico dedicherà poi ampio spazio alla “resilienza”. Resilienza che costituisce ormai la “prima linea di deterrenza e difesa” delle nostre democrazie alla luce della stretta interconnessione ormai in essere tra settori civili strategici (banche, aeroporti, reti di distribuzione, ospedali..) e la “difesa” di un Paese in senso stretto. Va in primo luogo assicurato in ambito alleato un “livello minimo comune di resilienza” poiché – come sappiamo – la capacità di tenuta di una catena dipende da quella dell’anello più debole.
Vi è motivo di ritenere che uno spazio adeguato sarà poi dedicato ancora una volta – con un linguaggio che non potrà ovviamente non tenere conto della criticità del momento – al perdurante impegno dell’Alleanza per un controllo e una progressiva riduzione degli armamenti sia nucleari che convenzionali. Traguardo il cui raggiungimento non è purtroppo agevolato dall’attuale contesto strategico: in particolare dal duro confronto in atto con Mosca anche se, almeno per ora, non sul terreno.
Vi è in ogni caso da sperare – anche se la situazione in atto ai confini orientali dell’Alleanza non induce all’ottimismo – che si determinino prima o poi le condizioni per un rilancio con i dovuti adattamenti da parte occidentale (Stati Uniti e NATO) delle articolate proposte in materia avanzate alla Federazione Russa, in risposta alle preoccupazioni della controparte, nelle settimane precedenti l’aggressione all’Ucraina. Proposte, base di un possibile negoziato, rese naturalmente caduche dalla sconsiderata decisione di Putin di invadere il vicino Paese.
Verrà poi ribadita la necessità per la NATO di mantenere sugli avversari la necessaria superiorità tecnologica nei settori cruciali per la difesa. Sotto questo profilo un ruolo fondamentale potrà essere svolto dall’istituendo “Defense Innovation Accelerator for the North Atlantic” (DIANA) con importanti poli di ricerca e sviluppo ubicati anche in Italia presso nostri centri di eccellenza tecnologici e militari.
Sul piano politico dal vertice di Madrid usciranno con ogni probabilità le seguenti decisioni: 1) di avvalersi maggiormente dell’Alleanza (accentuandone dunque, ciò cui molto tiene il nostro Paese, il carattere di istanza politica e non solo militare) per difendere al meglio le posizioni comuni tra gli alleati su questioni di rilevanza strategica: dalla posizione nei confronti dell’aggressione russa all’Ucraina alla tutela della libertà di navigazione nelle acque internazionali (tema di prioritario rilievo alla luce in particolare delle rivendicazioni cinesi sul Mar di Cina Meridionale); 2) tenere tra alleati più frequenti consultazioni anche al di là dei casi previsti dall’art.4 del Trattato di Washington; 3) fare il miglior uso possibile della rete di partenariati con Paesi “like-minded” nei più diversi scacchieri per affrontare le sfide alla sicurezza comuni, a cominciare da quelle derivanti dalla crescente assertività russa e cinese.
Sotto tale profilo è significativo l’invito a contribuire alle discussioni che si terranno a margine del Vertice in senso stretto rivolto da Stoltenberg ai Capi di Stato o Governo di quattro partner-chiave dello scacchiere Indo-Pacifico nel segno di una sempre più evidente “indivisibilità” della sicurezza: Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Sud Corea.
Importante per l’Italia – e la nostra Diplomazia si è molto spesa a tal fine – anche il fatto che a margine del Vertice i Ministri degli Esteri dei 30 Paesi membri avranno una importante discussione su che cosa debba intendersi per “fianco Sud dell’Alleanza” e quali minacce possano scaturire a breve e in prospettiva da tale scacchiere. E’ un’area vasta, per noi cruciale anche per gli aspetti migratori, che va dall’Africa al Pakistan e dove è forte la competizione tra le nostre democrazie e le autocrazie (basti pensare alla crescente influenza di Mosca e Pechino nell’Africa sub-sahariana e non solo). Il tutto per pervenire in tempi stretti a quella NATO a 360 gradi cui noi aspiriamo: capace ad esempio – oltre che di far fronte alla sfida proveniente da Est – di anticipare le dinamiche proprie di un continente africano con un miliardo di abitanti a rischio povertà, aggravata dalla crescente insicurezza alimentare e nel quale è largamente presente il terrorismo jihadista.
Infine, nella sezione tradizionalmente dedicata al partenariato con le principali organizzazioni regionali e internazionali, il Concetto Strategico di prossima adozione – consolidando una costante apprezzabilmente emersa da qualche anno a questa parte anche attraverso Dichiarazioni Congiunte al termine dei lavori – non mancherà di dedicare adeguato spazio allo stato e alle prospettive della collaborazione tra la NATO e l’Unione Europea per far fronte alle tante sfide comuni.
Sotto tale profilo l’accelerazione conosciuta più di recente anche sull’onda della crisi ucraina dall’impegno dei 27 Paesi membri dell’UE a dotarsi in tempi il più possibile ravvicinati di una credibile capacità di difesa comune lungo le linee e con gli strumenti messi a fuoco nella Bussola Strategica avallata dal Consiglio Europeo lo scorso 21 marzo non potrà che essere salutata con favore dai Capi di Stato e di Governo alleati.
Una crescita progressiva e importante delle spese per la difesa in ambito europeo contemplata dalla Bussola Strategica – in uno spirito di complementarietà con la NATO, come non si è mancato e non si manca di caldeggiare in ogni occasione e ai più diversi livelli da parte italiana, ma anche di autonoma capacità di azione ove necessario – va del resto nel senso di quella miglior e più equa ripartizione degli oneri finanziari in ambito atlantico (il famoso “burden-sharing”) da tempo vigorosamente sollecitata in maniera “bipartisan” dall’alleato statunitense.
Il salto di qualità nella collaborazione NATO-UE sul terreno della difesa, che dovrebbe essere propiziato dal disporre ormai l’UE di un articolato documento di strategia approvato al più alto livello, potrebbe però rivelarsi non privo di criticità. Potenziali ostacoli che vanno per non citarne che alcuni: dai tempi che si riveleranno necessari per pervenire a quella effettiva capacità di dispiegamento di una forza europea sino a 5000 uomini in tempo di crisi prefigurata dalla Bussola Strategica, agli ostacoli che sul terreno della collaborazione tra le due Organizzazioni potrebbe prima o poi porre nuovamente, per l’uno o l’altro motivo, la difficile Turchia di Erdogan (Paese membro della NATO ma da decenni “candidato” all’adesione all’Unione Europea) al forte condizionamento che, sull’adozione di decisioni in materia di iniziative o azioni comuni sul terreno della difesa, è destinata come noto ad esercitare la regola dell’unanimità prevista in materia dai Trattati UE.
Tali criticità, peraltro note da tempo, non debbono tuttavia fare velo alla constatazione dell’importante passo avanti che anche per la collaborazione in prospettiva tra l’UE e l’Alleanza Atlantica è lecito ravvisare nell’ adozione, da parte dei 27, dello “Strategic Compass”. Ovviamente progressi più celeri anche in tale ambito si registrerebbero ove dovesse un giorno trovare attuazione (ma il percorso appare tutt’altro che facile) l’una o l’altra delle proposte all’esame in talune capitali europee per sottrarre, in qualche modo, alla regola dell’unanimità le decisioni in materia di politica estera e di difesa.
E’ del resto solo attraverso un ulteriore rafforzamento del partenariato strategico tra la NATO e l’Unione Europea che potranno essere affrontate con la necessaria incisività le sfide globali per l’Occidente al centro dell’agenda del Vertice: dal contrasto all’aggressione russa all’Ucraina alla gestione delle minacce provenienti dal fianco Sud alla sopra evocata “sicurezza cooperativa”.
Pubblicato in Lettera Diplomatica n. 1334 del 21 giugno 2022