NATO, Russia e sicurezza europea: passato, presente e futuro

di Prof. Luca RATTI, Università Roma Tre, componente del Consiglio Direttivo del Comitato Atlantico Italiano. L’offensiva militare della Federazione russa in Ucraina, entrata nella quinta settimana di operazioni, appare destinata a segnare una svolta decisiva e forse irreversibile nella politica europea e nel rapporto transatlantico. Mentre sono emersi i primi segnali distensivi dai colloqui di pace in Turchia – cui ha fatto seguito la telefonata tra il Primo Ministro italiano Mario Draghi e il Presidente russo Vladimir Putin – e le forze russe appaiono aver ridotto le operazioni militari in alcune zone dell’Ucraina, inclusa la periferia della capitale, fino ad oggi gli sforzi per raggiungere un accordo che apra la strada a una soluzione duratura della crisi hanno prodotto risultati modesti. Nonostante le voci circa un presunto interesse da parte di Mosca a decretare la fine delle operazioni entro la data del 9 maggio – giorno in cui la Russia festeggia la ricorrenza della vittoria in Europa contro la Germania nazista – i membri dell’Alleanza mantengono un atteggiamento di sostanziale prudenza nel timore di un conflitto prolungato e di un suo possibile e pericoloso allargamento ai Paesi circostanti. Si tratta di un’ipotesi che è stata contemplata nel summit straordinario della NATO del 24 marzo, in cui i Paesi dell’Alleanza hanno confermato l’impegno comune a difesa della sicurezza euro-atlantica contro un ampio ventaglio di minacce, a partire dall’attuale politica della Federazione russa.

Nel mese di marzo l’acuirsi della crisi sul piano militare ha condotto a un acceso dibattito anche sul piano nazionale, dove non sono mancate le voci che hanno cercato di giustificare le motivazioni del Cremlino e di addossare le colpe del conflitto agli Stati Uniti e all’Alleanza Atlantica. Queste critiche appaiono pretestuose e allo stesso tempo ignare dei ripetuti tentativi dell’Alleanza di instaurare un dialogo costruttivo con l’Unione Sovietica e la Federazione russa e del profondo processo di rinnovamento perseguito dall’Alleanza stessa all’indomani della fine del confronto bipolare. Ancora oggi l’essenza di questo processo è ampiamente riassunta nelle profetiche parole pronunciate nell’estate del 1989 dell’allora Primo Ministro britannico Margaret Thatcher: ‘You do not cancel your home insurance policy just because there have been fewer burglaries in your street in the last twelve months’. Enunciate proprio nel momento in cui nell’estate del 1990 l’Alleanza si preparava ad affrontare un periodo di transizione in conseguenza delle profonde trasformazioni avviate dalla disgregazione del blocco sovietico, le riflessioni del Primo ministro britannico mettevano in guardia l’Europa dai rischi di un indebolimento del legame transatlantico, lanciando un monito ai contemporanei e allo stesso tempo un avvertimento alle future generazioni.

Profondamente scettica che l’Unione Europea potesse contribuire da sola al mantenimento della sicurezza continentale senza un saldo rapporto con gli Stati Uniti, la Thatcher, pur auspicando il proseguimento di uno stretto dialogo e di una collaborazione con l’Unione Sovietica, era convinta che l’Alleanza dovesse continuare a contribuire al mantenimento della sicurezza europea sia contro i rischi di rigurgiti nazionalisti sia per fronteggiare nuove e subdole minacce, tra cui quella terroristica. Una preoccupazione condivisa anche dalla leadership statunitense: sia l’allora Presidente George H.W. Bush sia il Segretario di Stato James Baker erano consapevoli dei rischi insiti in un indebolimento del legame transatlantico e, pur favorevoli a un rafforzamento del dialogo e della collaborazione con Mosca, auspicavano la creazione di un’Europa ‘libera e unita’, invocata dal Presidente Bush già in un famoso discorso a Magonza nel maggio del 1989. Sebbene avessero in parte prospettive diverse circa il ruolo della Germania unita in Europa, sia lo stesso Bush sia la Thatcher erano fermamente convinti che l’Alleanza dovesse continuare a svolgere un ruolo primario nel mantenimento della sicurezza nell’area euro-atlantica anche dopo la fine della Guerra Fredda.

Proprio per questo motivo tra il 1989 e il 1990 Stati Uniti e Gran Bretagna si adoperarono strenuamente per convincere la leadership sovietica che la permanenza della Germania unita all’interno dell’Alleanza Atlantica sarebbe stata in ultima analisi nell’interesse stesso di Mosca. L’incapsulamento della Germania nella NATO, e parimenti nell’Unione Europea, avrebbe ridotto i rischi che la fine dell’equilibrio bipolare potesse innescare una pericolosa e incontrollata frammentazione dell’architettura di sicurezza sul continente o aprire la strada a politiche revisioniste da parte della stessa Germania o di alcuni dei Paesi dell’ex blocco sovietico, innescando dinamiche incontrollate e potenzialmente destabilizzatrici. Per lo stesso motivo sia Bush sia la Thatcher non consideravano invece perseguibile la proposta di Mosca di uno scioglimento dell’Alleanza Atlantica – giustificata dalla leadership sovietica nella logica di un superamento delle alleanze contrapposte in Europa – a favore della costituzione di una nuova organizzazione paneuropea, ispirata al modello della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, nata durante il negoziato Est-Ovest negli anni della grande distensione culminato con gli accordi di Helsinki del 1975.

Tuttavia, anche per rassicurare il Cremlino e soddisfare in parte le esigenze di sicurezza di Mosca, negli anni successivi l’Alleanza diede avvio a un profondo processo di riforma e di rinnovamento. Questo processo, insieme al perseguimento di un dialogo serio e costruttivo con l’Unione Sovietica e con la Federazione Russa, condusse alla firma di accordi fondamentali per la sicurezza europea, coma la Carta di Parigi per una Nuova Europa e il trattato sulla riduzione delle forze convenzionali nel 1990, il Consiglio di Cooperazione Nord Atlantico nel 1991 e poi alla nascita della cosiddetta Partnership for Peace nel 1994 tra i Paesi dell’Alleanza e gli ex-membri del blocco sovietico. L’invasione e annessione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990, l’avvio del processo di disgregazione della Jugoslavia nell’anno successivo, il riemergere di tensioni regionali in Europa lungo un nuovo arco di crisi esteso dal Caucaso ai Balcani, e una situazione di persistente instabilità nel Mediterraneo confermarono ben presto i rischi insiti in una disgregazione dell’assetto politico e territoriale europeo e la lungimiranza delle parole della Thatcher e delle speranze del Presidente Bush.

Negli anni successivi l’Alleanza diede prova di grande capacità di trasformazione e adattamento, svestendo i panni di un blocco euro-atlantico con una funzione prevalentemente antisovietica e assumendo gradualmente – nel sostanziale rispetto del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite – un ruolo imprescindibile nella gestione delle crisi emerse alla periferia dello spazio euro-atlantico, a partire dal suo intervento a sostegno delle Nazioni Unite per mettere fine al confronto interetnico in Bosnia-Erzegovina nel 1993. Allo stesso tempo, l’Alleanza svolse una pronta ed efficace funzione di assistenza ai processi di riforma intrapresi a livello politico, economico e militare in molti dei Paesi dell’ex blocco sovietico, contribuendo alla soluzione di controversie politiche e territoriali, come ad esempio tra Ungheria e Romania sulla questione della Transilvania e recentemente tra Grecia e Macedonia del Nord. Per l’Italia questo ruolo fu particolarmente importante proprio nell’area balcanica, dove il coinvolgimento dell’Alleanza diede un contributo fondamentale contro il pericolo di un’incontrollata espansione dei conflitti interetnici scatenati dalla crisi jugoslava all’inizio degli anni novanta e dal conflitto in Kosovo alla fine del decennio.

Proprio in conseguenza del ruolo stabilizzatore dell’Alleanza, in molti di questi Paesi maturarono gradualmente speranze di un saldo ancoraggio all’Europa euro-atlantica attraverso la prospettiva di un loro ingresso nella NATO, prima ancora che nell’Unione Europea, come previsto d’altronde dall’articolo 10 del trattato di Washington del 1949. L’avvio di questo processo, sebbene ostracizzato a fasi alterne dalla Federazione russa, non fu tuttavia da ostacolo alla continuazione di una cooperazione pragmatica tra l’Alleanza e Mosca, che permise anche il coinvolgimento della Russia stessa in alcune delle operazioni di pace condotte dall’Alleanza nei Balcani. In ultima analisi, secondo l’articolo 10 del trattato di Washington la stessa Russia non sarebbe stata esclusa dal processo di allargamento, qualora avesse manifestato un reale interesse ad aderire all’Alleanza e a rispettarne i suoi valori e meccanismi, incluso il principio del consenso. Si tratta di una possibilità che sia l’Alleanza sia la Russia hanno almeno ipoteticamente contemplato in diverse circostanze, non ultimo all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Inoltre, la funzione stabilizzatrice dell’Alleanza ha apportato importanti vantaggi anche all’Unione Europea, che dopo la fine della Guerra Fredda non era certo pronta ad assumere un ruolo primario nel mantenimento della sicurezza continentale, permettendone il graduale – sebbene non ancora pienamente compiuto – sviluppo di una propria politica estera e di sicurezza.

L’invasione dell’Ucraina rappresenta, purtroppo, il fallimento dei tentativi di costruire una collaborazione duratura tra l’Alleanza e la Russia ma sono allo stesso tempo anche una nuova e ulteriore conferma della lungimiranza della visione di Margaret Thatcher. Se oggi fortunatamente un ritorno all’Europa di Monaco appare improbabile – un paragone spesso sollevato per evocare la conferenza che nel settembre del 1938 aprì la strada alla spartizione della Cecoslovacchia spingendo l’Europa verso il baratro della Seconda Guerra Mondiale – bisogna dare credito di questo al ruolo svolto dall’Alleanza Atlantica e anche al suo processo di allargamento, che hanno scongiurato i rischi di frammentazione politica e territoriale in Europa e permesso all’Unione Europea di continuare a consolidare le proprie strutture in una clima di pace.

Oggi non appare possibile prescindere da tale veste stabilizzatrice, esercitata non solo attraverso il concetto di deterrenza estesa e il coordinamento sul piano multilaterale delle politiche dei propri membri, ma anche nella scelta saggia di non alimentare politiche che potrebbero condurre a un pericoloso allargamento del conflitto. Il mantenimento di un equilibrio tra il ruolo politico e quello militare dell’Alleanza appare pertanto particolarmente necessario, soprattutto per l’Europa occidentale e per un Paese come l’Italia – tradizionalmente generoso nel suo impegno transatlantico ma spesso non altrettanto riconosciuto sul piano politico – e in vista della definizione di una nuova veste per la NATO nel XXI secolo, in un contesto internazionale in cui l’attuale crisi ucraina rappresenta solo una delle molteplici sfide alla coesione e sicurezza euro-atlantica.