Al Qaeda, Islamic State e il terrorismo fai da te


22 febbraio 2016

Al-Qaeda-ISIS-Islamic-State-Zawahiri-Baghdadi


Esiste un legame tra le Primavere arabe e la crescita del terrorismo jihadista?

A cinque anni dalle c.d. Primavere Arabe, è giunto il momento per una breve riflessione sulle ragioni che hanno visto esplodere esponenzialmente la minaccia jihadista. E’ forse corretto interrogarsi sull’esistenza di un’eventuale correlazione tra la caduta di Regimi che controllavano da decenni la gran parte del Medio Oriente e Nord Africa e l’aumento del radicalismo islamico, sia in tale aree che in Occidente, ma la risposta è molto più articolata di quanto si potrebbe immaginare.

Devo premettere che appena qualche mese dopo le prime rivolte popolari, mentre quelle che vennero definite “Primavere” Arabe venivano da più parti esaltate, in alcuni articoli io già ribattezzai il fenomeno con il nome di una stagione cui normalmente associamo significati più cupi: l’Autunno! Le additai come “Autunni” ragionando sulle funeste conseguenze che avrebbero a mio avviso in parte portato per alcune delle popolazioni interessate, ma le motivazioni di tale pessimismo non sono da ricercare nel fatto che, come da talune parti si sente dire, “le popolazioni arabe non sono in grado di vivere in democrazia” e “necessitano di un “uomo forte” che le tenga a bada”. Ho al contrario il massimo rispetto per popolazioni dalla cultura millenaria, ma ritenevo che i due concomitanti fattori del prevedibile iniziale vuoto di potere e del tentativo di applicazione/imposizione di valori che non sono propri del Medioriente avrebbero generato, o meglio riacceso, lotte intestine per la supremazia nel mondo islamico. Lotte che, non va mai dimenticato, coinvolgono e sconvolgono in primis le popolazioni locali.

Se ci interroghiamo sui rapporti che intercorrono tra la religione islamica, e più in generale la cultura islamica, e concetti quali quelli di Stato-nazione e di democrazia, giungiamo facilmente alla conclusione che questi sono propri dell’Occidente, e non di popolazioni che per secoli sono state composte da gruppi nomadi, organizzati non in base alla sovranità su di un determinato territorio, ma secondo l’appartenenza clanica ed etnico-tribale. Inoltre, come noto, il mondo islamico non conosce la cristiana distinzione tra le competenze di Dio e quelle di Cesare, ma vive una sovrapposizione tra i due piani, sovrapposizione che genera conflitti in primo luogo al suo interno.

I conflitti interni al mondo islamico

Ma l’aspetto su cui vorrei soffermarmi è il seguente: è a questi conflitti interni che dobbiamo guardare per spiegare le ragioni profonde dell’attuale terrorismo jihadista. Per comprendere cosa stia succedendo dobbiamo partire dalla lotta tra sciiti e sunniti, e da quella per la supremazia tutta interna al mondo sunnita. Quest’ultimo, privo di una guida politica e religiosa, vive almeno da un paio di secoli una situazione di costante tensione per la leadership, che si acquisisce anche e soprattutto lottando contro gli sciiti ed i valori occidentali che avrebbero secondo alcuni “rovinato” la purezza del vero Islam.

Senza entrare in questa sede nelle complesse implicazioni legate a cosa si intenda per “Islam puro”, né provare ad affrontare lo studio dei movimenti che lo hanno promosso negli ultimi due secoli, mi soffermerei sul nodo centrale per il nostro ragionamento: non si può parlare di Islam al singolare, esistono vari Islam in lotta tra di loro, e tale lotta è portata avanti sia sul piano politico che teologico. Si tratta di una competizione condotta su differenti livelli e da differenti attori: vi è concorrenza tra scuole coraniche, tra Potenze statali, tra gruppi terroristici.


L’attuale fenomeno del terrorismo jihadista

Arriviamo così all’attuale fenomeno del terrorismo jihadista. L’Occidente è attaccato principalmente guardando ai nemici dello scontro islamico, perché oggi promuovere il jihad contro l’Occidente ed i suoi valori conferisce potere e visibilità all’interno della c.d. “galassia islamica”, attualmente polarizzata intorno ad Al Qaeda (AQ) ed all’Islamic State (IS).

Si tratta di una lotta intestina iniziata nell’aprile 2013 in seguito al tentativo operato da Al Baghdadi, capo della branca irachena di AQ (allora denominata Al Qaeda in Iraq), di annettere a sé quella siriana (Al Nusra), che invece ribadì la propria fedeltà ad AQ ed al suo leader, Al Zawahiri, che tentò inutilmente di riportare nei ranghi il gruppo iracheno. Lo scontro ha continuato a crescere e ha visto un’altra tappa cruciale nel giugno 2014 con la proclamazione del Califfato, duramente criticata soprattutto per la totale assenza di titoli che giustifichino il titolo di Califfo in capo ad Al Baghdadi.

Da allora AQ e IS, ed i combattenti che a loro si richiamano, sono in aperto contrasto, tanto da arrivare a fronteggiarsi anche in modo diretto in alcune aree di crisi, quali i teatri siro-iracheno, libico e yemenita (registrando però occasionali collaborazioni tattico operative contro avversari comuni). Ma ciò che rileva maggiormente è che le due organizzazioni hanno ingaggiato una vera e propria competizione per la leadership della variegata galassia jihadista, con un’esponenziale crescita, soprattutto a partire dalla seconda metà del 2014, del numero di jihadisti che ha man mano dichiarato fedeltà ad IS e ad Al Baghdadi, anche rinnegando precedenti analoghe dichiarazioni fatte in favore di AQ e dei suoi vertici. Entrambi i gruppi hanno intrapreso, tra l’altro, un’importante campagna mediatica volta a portare dalla propria parte il maggior numero di organizzazioni terroriste, o almeno di loro battaglioni, e di nuovi combattenti, con IS che ha operato una sorta di “campagna acquisti” che ha portato a stravolgere i sistemi di reclutamento, a sostituire quei rigidi canoni che AQ ha sempre richiesto ai gruppi terroristi affinché potessero essere considerati ufficialmente affiliati dell’organizzazione centrale.

La competizione tra Al Qaeda e l’Islamic State

Si deve tener presente che il gruppo fondato da Bin Laden ha dimostrato in questi anni un’enorme capacità di adattamento ed è riuscito a sopravvivere anche alla morte del suo leader storico, trasformandosi in un network del radicalismo islamico, un fenomeno a cerchi concentrici il cui nucleo centrale resta l’organizzazione con sede tra Afghanistan e Pakistan, ma accanto al quale si trovano l’anello dei gruppi ufficialmente affiliati, come “Al Qaeda nella Penisola Arabica” (AQAP) e “Al Qaeda nel Maghreb Islamico” (AQMI), e più esternamente l’anello dei gruppi jihadisti che si rifanno semplicemente alla sua ideologia ed ai suoi metodi. AQ sta sopravvivendo anche alla crescente presa che IS ha su alcune branche delle sue organizzazioni affiliate, e pur perdendo pezzi e non apparendo al momento come il gruppo numericamente più numeroso continua a costituire nell’immediato un diretto rischio per l’Occidente.

Tra le defezioni maggiori, credo si debbano annoverare quelle relative a parti di alcune delle branche libiche di Ansar al Sharia, alcuni battaglioni algerini e maliani di AQMI e di Al Mourabitoun, una parte del gruppo somalo Al Shabab, l’egiziano Ansar Bait al-Maqdis e l’organizzazione nigeriana Boko Haram (che però in realtà non ha mai fatto parte dei gruppi affiliati ad AQ, e che anzi aveva sempre visto respingere dai vertici qaedisti la sua richiesta di adesione). Ma rilevano soprattutto le decine di migliaia di giovani, provenienti da tutti i continenti, che più o meno direttamente appoggiano IS, arrivando spesso a combattere per esso nei loro Paesi di origine o nel teatro siro-iracheno.

Se AQ aveva sempre chiesto alle organizzazioni che si volevano affiliare ad essa il pieno rispetto delle sue metodologie e della sua agenda globale, cui ovviamente si poteva affiancare quella locale nei termini in cui non confliggesse con quella dell’organizzazione madre, IS sta di fatto accettando dichiarazioni di fedeltà da qualsiasi gruppo voglia prestare giuramento ad al Baghdadi, dando loro la possibilità di fregiarsi del marchio IS e di utilizzare alcuni dei suoi strumenti (ad iniziare dai potenti organi mediatici) in cambio della costituzione (spesso solo nominale) di una nuova Provincia (Wilayah) del Califfato.

Quanto invece al richiamo che IS opera su migliaia di singoli giovani musulmani che partono per andare a combattere nel teatro siro-iracheno, o attualmente in altre zone indicate dal Califfo quali la Libia, va rilevato un fenomeno che costituisce una vera e propria novità: IS offre loro una sorta di “terra promessa”. Una terra promessa nella quale si assicurano ai giovani soldi, potere, armi, donne, e, per i più “spirituali”, la corretta applicazione della Legge Islamica; alle famiglie, infine, è offerta una casa ed un lavoro, un luogo dove crescere i propri figli secondo i dettami dell’Islam ed al riparo dai “non-valori” dell’Occidente. Si tratta di un fenomeno che AQ, non avendo mai avuto il controllo su alcun territorio (in Afghanistan il potere era gestito dai Talebani e non da Bin Laden, si ricordi), non aveva ovviamente mai conosciuto: il richiamo ai combattenti rivolto da AQ era pertanto simile a quello abbiamo avuto nel secolo scorso a partire dai mujaheddin anti-sovietici di fine anni Settanta e poi rivisto in più occasioni, dalla Bosnia alla Cecenia.


La funzione mediatica degli attacchi in Occidente ed i reali obiettivi dei gruppi jihadisti

Ora, tornando al nostro discorso, è ovvio che in questa competizione tra AQ e IS la pubblicità sia fondamentale: è una battaglia che i due network del terrore conducono infatti principalmente sul piano mediatico, lanciandosi l’un l’altro accuse per screditare il rivale e diffondendo proclami e messaggi sempre più accattivanti per attrarre nella propria sfera il maggior numero di giovani ed ottenere la leadership della galassia jihadista. Dobbiamo considerare che in questo contesto ogni attacco spettacolare contro quelli che vengono additati come “infedeli”, con il consueto shock dell’opinione pubblica occidentale che fa da cassa di risonanza, procura sicuramente nuove dichiarazioni di fedeltà da parte di gruppi terroristici sparsi per il mondo, provoca defezioni in altri, fa aumentare combattenti e simpatizzanti. Tutto ciò, tra l’altro, nel caso dell’IS procura anche nuove forze che gli consentono di consolidarsi anche sul terreno, acquisendo un più stabile controllo sulle terre dell’autoproclamato Califfato.

Si attacca l’Occidente, dunque, per prevalere sui nemici interni all’Islam, ottenere l’egemonia sulla ummah e, naturalmente, costringere l’Occidente a non ostacolare la ricostituzione di quel Califfato che storicamente manca dalla fine delle Prima Guerra Mondiale, quando le Potenze vincitrici, in sede del Trattato di Sèvres, perseguirono assetti regionali nel Vicino e Medio Oriente che rendessero impossibile il ripetersi di una minaccia agli interessi occidentali simile a quella causata dall’Impero Ottomano nei cinquecento anni precedenti, in modo che non vi fosse, in quella parte del mondo, alcuno Stato forte in grado di diventare una potenza a livello internazionale. L’intera area venne infatti suddivisa in una serie di Stati tra loro di eguale potenza e spesso con la popolazione fortemente divisa tra una comunità sunnita ed una sciita, oltre a numerose altre minoranze religiose, creando un’instabilità di cui ora stiamo pagando le conseguenze, e alimentando una voglia di ricostituire il Califfato che ha visto storicamente alternarsi nell’area numerosi tentativi, promossi sia dal nazionalismo arabo laico che dall’estremismo religioso.

La ricostituzione del Califfato è di fatto il fine ultimo tanto per AQ quanto per IS, organizzazioni che spesso si pensano diametralmente opposte, ma che in realtà hanno molte più cose in comune di quanto si possa immaginare, ad iniziare da finalità e nemici. Entrambe rifiutano i valori occidentali, che vedono come rovina del puro Islam e mirano a cacciare gli infedeli dalle loro terre e ricreare il Califfato. Le differenze principali sono pertanto solo nelle modalità con cui si perseguono i medesimi obiettivi e nelle metodologie utilizzate. Non dimentichiamo, infatti, che sin dal 2005 è noto alla stampa un progetto di AQ diviso in sette fasi che ha come scopo finale la costituzione di quel Califfato che comunemente si pensa proprio solo delle mire di IS. Le fasi che aveva previsto AQ, e che IS sembra rispettare anche dal punto di vista temporale, erano quelle del risveglio, dell’apertura degli occhi, della sollevazione e fierezza, del collasso dei regimi islamici dell’area, della dichiarazione del Califfato, del confronto totale e della vittoria finale. Quanto ai nemici, sia AQ che IS ne hanno tre: gli sciiti, i governi musulmani apostati perché amici degli occidentali e, in terza battuta, ripeto, solo in terza battuta, l’Occidente.

Ora ovviamente questa è invece purtroppo l’unica cosa che l’opinione pubblica occidentale vede, ma va tenuto presente che il terrorismo è soprattutto la conseguenza delle tensioni interne, nasce da quanto detto sino ad ora, ed è principalmente la manifestazione di questa lotta per la supremazia all’interno del mondo islamico, oltre che naturalmente la risposta agli attacchi che l’Occidente compie contro le citate organizzazioni terroriste e la vendetta per le gravi violazioni di cui esso si macchierebbe secondo le interpretazioni più radicali di Islam.

Il terrorismo e l’Occidente: le minacce ed i rischi reali

Si tratta di un terrorismo che oggi costituisce un rischio reale anche a casa nostra, di noi Occidentali: sia perché, come abbiamo visto, in questa lotta per prevalere sulle altre organizzazioni terroriste ognuna di loro cerca visibilità, sia perché tale visibilità genera quello che definiamo “terrorismo fai da te”[1].

Ma dobbiamo quindi distinguere tra minaccia e rischio: se è vero che organizzazioni come AQ e IS nei loro comunicati minacciano direttamente l’Occidente, il vero rischio è quello che viene dall’imprevedibilità dei “lupi solitari”, siano essi homegrown terrorist radicalizzatisi in Occidente o foreign fighter di ritorno dai teatri di crisi. Sempre più spesso agiscono “in branco”, con gruppi composti da entrambe queste tipologie di soggetti, a volte direttamente manovrati da AQ o IS, mentre in altre si registra la mancanza di un collegamento diretto con una specifica organizzazione centrale, richiamandosi gli attentatori tanto ad AQ quanto all’IS, o come si è visto recentemente sia in Francia che negli Stati Uniti, ispirati da IS ma utilizzando manuali messi in rete da AQ o obiettivi da essa indicati.

E quello che spinge tali giovani all’azione è spesso proprio il sentirsi divisi tra due mondi, quello occidentale e quello musulmano, sentendosi in parte estranei da entrambi, e quindi non più totalmente parte di nessuno. Due mondi che, ricordiamo, sono semplicemente diversi: non esiste un sistema giusto o sbagliato, ogni cultura ha propri valori e principi, che ha sviluppato storicamente con lunghi processi e che non debbono essere imposti. Il lavoro principale da fare (affianco a quello della prevenzione e repressione del fenomeno terrorista) è pertanto nel senso dell’integrazione di questi giovani in Occidente, ove debbono essere accettati e devono a loro volta accettare i nostri valori, così come l’Occidente deve rispettare a casa loro valori che non sono sbagliati, ma semplicemente diversi, senza provare ad imporre quelli che noi abbiamo sviluppato nei secoli. E’ il malessere di migliaia di giovani che dobbiamo comprendere e prevenire per far sì che non venga strumentalizzato dai leader di Al Qaeda o da quelli dell’Islamic State. Inoltre, un rapporto più stretto, nei nostri Paesi, con le Comunità islamiche locali è quindi una necessità assoluta: solo con l’ausilio di queste comunità è possibile evitare il rischio che la radicalizzazione dei giovani diventi un fenomeno di massa.


[1] Si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo “fai da te”.Inspire e la propaganda online di AQAP per i giovani musulmani in Occidente, Aracne Editrice, Roma, 2013.

* Articolo originariamente pubblicato su WWW.OSSERVATORIOANALITICO.COM, per gentile concessione del Direttore Scientifico.
 
** Le opinioni espresse sono personali dell’Autrice e non corrispondono necessariamente alla posizione dell’Amministrazione presso la quale lavora.