PSDC: verso una nuova strategia di sicurezza?

 

csm_Riga2015_AFP_be26b24ff5Con la fine della guerra fredda, siamo stati tutti portati a ritenere che le più scottanti questioni geopolitiche del nostro vicinato fossero ormai definite una volta per tutte. La scomparsa dell’Unione Sovietica ci indusse a ritenere che non ci saremmo più occupati di confini, basi militari e sfere d’influenza. Dopo anni di competizione geopolitica a livello globale, l’auspicio di costruire un nuovo ordine mondiale, fondato sui valori democratici e sul libero commercio sembrava un progetto finalmente a portata di mano. Ma tale progetto si basava sull’ordine geopolitico emerso dalla fine degli anni ottanta. Grosso modo In Europa:  l’unificazione tedesca; lo smembramento dell’Unione Sovietica e la progressiva estensione dell’Unione Europea e della NATO ad est, nei paesi dell’ex Patto di Varsavia. In Medio Oriente: la leadership sunnita, in particolare di Egitto, Turchia e Arabia Saudita, nonché il contenimento di Iran e Iraq, allora controllato da Saddam Hussein. Infine, in Asia orientale, il predominio degli Stati Uniti nel Pacifico, anche grazie ad una rete di alleanze con Giappone, Corea del Sud ed Australia.

Queste fondamenta geopolitiche, per anni date per scontate, hanno sorretto l’architettura del mondo post-guerra fredda: dall’Uruguay Round nel quadro WTO, al Washington Consensus sui temi dello sviluppo economico, al negoziato di Kyoto in materia cambiamenti climatici, ossia ciò che viene comunemente denominato “liberal international order”.

A venticinque anni dal crollo del muro di Berlino queste convinzioni sono oggi rimesse in discussione: che uno posi lo sguardo sull’Ucraina, sulla Siria o sulla Libia, non vi è dubbio che siamo nel mezzo di una nuova fase di transizione geopolitica, in un momento in cui le fondamenta del precedente ordine appaiono sempre più fragili e contestate da attori, come ad esempio la Russia, che vi si riconoscono solo parzialmente.

Qual è il posto dell’Europa nel nuovo scenario geopolitico? L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini, nel suo intervento alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, ad inizio febbraio 2015, ha parlato di un mondo che appare “caotico” e in “perenne transizione”, ponendosi poi un interrogativo ambizioso: “How do we shape, after 25 years, a new world order? ”, ovviamente dal punto di vista dell’Unione Europea. Cioè: come l’Unione Europea deve porsi a fronte di scenari in continua evoluzione?

Nel tentare di dare una risposta a questa difficile domanda, l’Alto Rappresentante ha indicato tre direttrici:

– Innanzitutto, prestare maggiore attenzione al vicinato, sia orientale che meridionale. Ad Est, in Ucraina, per mezzo di un’incisiva azione diplomatica che include – ma non si esaurisce – nello strumento sanzionatorio. Confermando che l’Unione Europea rimane aperta al dialogo ed alla cooperazione con la Russia, senza tuttavia scendere a compromessi sui principi di base dell’ordinamento internazionale.  A Sud, affrontando le molteplici sfide che si presentano alla nostra attenzione – Libia, Siria ed ISIL – in stretta cooperazione con i nostri partner della regione. Naturalmente, in un contesto regionale che appare sempre più caotico e pericoloso, aumenta l’urgenza di trovare una soluzione definitiva al Processo di Pace, nonché alla questione del nucleare iraniano.

– La seconda strada da percorrere è quella della cooperazione con i partner, a cominciare dagli Stati Uniti, e con le potenze emergenti per affrontare le sfide globali, quali il cambiamento climatico, la scarsità di risorse, lo sviluppo umano.

– Infine, l’Alto Rappresentante ha evocato la necessità di un nuovo “sense of direction”, ossia di una riflessione ampia ed articolata sulle priorità e sulle scelte che l’Europa sarà chiamata a compiere nei prossimi anni. Si tratta di avviare il lavoro su una nuova strategia di politica estera e di sicurezza europea, che vada a sostituire quella elaborata sotto l’egida di Javier Solana nell’ormai lontano 2003.

Qual è il ruolo della politica comune di sicurezza europea, la cd. CSDP (Common Security and Defence Policy) nel più generale contesto geopolitico che abbiamo appena descritto? Dall’inizio degli anni 2000, dal lancio di quella strategia che oggi l’Alto Rappresentante vorrebbe aggiornare, l’Unione Europea ha compiuto significativi passi avanti nel campo della sicurezza e della difesa ed oggi si presenta ai suoi partner come un credibile “security provider”. Sono al momento attive cinque operazioni militari dell’UE (EUFOR Althea, EUTM Mali, EUFOR CAR, EUTM Somalia e EUNAVFOR Atalanta) che impiegano circa 3000 uomini nelle più varie parti del mondo e svolgono attività che vanno dall’intercettazione dei pirati nelle acque dell’Oceano Indiano, alla formazione dei soldati somali o maliani, al mantenimento di condizioni di sicurezza in Rep. Centrafricana o in Bosnia. Assieme alle numerose missioni civili (in Libia, Territori palestinesi, Ucraina, Sahel e Corno d’Africa), le operazioni militari dell’Unione Europea contribuiscono a portare stabilità e ad assistere i paesi partner.

Nell’ambito di questo percorso di consolidamento del ruolo dell’Unione Europea nel settore della sicurezza e anche in quello della difesa, una tappa fondamentale sarà costituita dal Consiglio Europeo del prossimo giugno, che sarà dedicato alla difesa e rappresenterà un momento di verifica dei progressi realizzati a seguito delle numerose iniziative lanciate in occasione del Consiglio Europeo difesa del dicembre 2013. In occasione della Ministeriale difesa tenutasi a Riga il 18 e 19 febbraio, l’Alto Rappresentante ha confermato che, come da programma (non scontato), il Consiglio Europeo di giugno sarà principalmente dedicato alla difesa, malgrado vi fossero state voci contraddittorie circa la possibilità di un suo slittamento.

I pilastri su cui presumibilmente si concentrerà l’attenzione dei Capi di Stato e di Governo il prossimo giugno saranno:

– le operazioni, e come per migliorare la capacità di intervento dell’UE in situazioni di crisi. Nell’ambito di questo primo pilastro si affronterà il tema delle capacità di intervento rapido dell’Unione, in particolare dei Battlegroup, e della possibilità offerta dall’art. 44 del TUE che l’attuazione di un missione venga affidata ad un gruppo di Stati membri con le necessarie capacità. Di conseguenza si discuterà, nei nostri auspici, anche dell’iniziativa “Enable and Enhance”, finalizzata a consentire all’Unione Europea non solo di formare le forze di sicurezza, ma anche di fornire equipaggiamenti e altre attrezzature, in maniera da permettere di equipaggiare adeguatamente i militari da noi addestrati nelle diverse missioni consentendo quindi  ai paesi partner di assicurare più efficacemente e in maniera autonoma la propria sicurezza.

– Corollario dell’accresciuto impegno europeo nei teatri di crisi deve essere un progressivo incremento delle capacità europee nel settore della difesa (pooling and sharing). In tempi di grave crisi economica e di contrazione dei bilanci della difesa, questo significa più cooperazione e, soprattutto, migliore definizione delle priorità per tale cooperazione. E’ in quest’ottica che, nell’ambito del secondo pilastro, i Capi di Stato e di Governo dovranno confermare le priorità per la cooperazione europea, a cominciare dai quattro “flagship projects” gestiti dalla Agenzia Europea della Difesa: capacità di rifornimento in volo (l’Air-to-Air refuelling), sviluppo di progetti comuni nel settore dei Remotely Piloted Aircraft System (droni), le comunicazioni satellitari governative e la cyber security. A questi, dovrebbe aggiungersene un quinto, ancora vago, nel settore della sicurezza marittima.

– Infine, l’auspicato incremento delle capacità non sarà possibile senza il mantenimento ed il consolidamento della base industriale e tecnologica dell’Unione Europea, purtroppo anch’essa fortemente intaccata dalla crisi di questi ultimi anni. Nell’ambito di quest’ultimo pilastro, spicca l’iniziativa volta ad inserire, all’interno del programma di ricerca Horizon 2020 (circa 80 miliardi di euro fino al 2020), un sottoprogramma per il finanziamento della ricerca dual-use. Ove la “Preparatory Action”  (Commissione – EDA nel settore della ricerca per progetti nel settore dual use) in corso di approvazione, che avrà risorse per circa 150 milioni di euro in tre anni, dovesse avere successo, il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’Unione Europea potrebbe includere anche una linea di finanziamento dedicata alla ricerca in questo importante settore. Altra iniziativa particolarmente significativa, soprattutto per un paese come l’Italia, riguarda il sostegno alle PMI del settore difesa, in particolare per quanto riguarda l’accesso al credito, la sicurezza delle forniture e l’accesso ai fondi europei (European Structural and Investment Funds – ESIF).

Pertanto, nonostante le indubbie difficoltà e i numerosi ritardi, l’Europa della difesa è viva e, tutto sommato, attiva, con un ampio ventaglio di nuove iniziative da realizzare. Affinché l’Italia continui ad essere protagonista in Europa, è importante che tutti  siano pienamente consapevoli delle dinamiche in corso a Bruxelles e le seguano con grande attenzione, in maniera da poterle orientare verso un esito compatibile con gli interessi nazionali.

Ciò detto, dobbiamo porci la domanda se quanto sinora realizzato sia sufficiente e risponda alle nostre ambizioni in materia di politica comune di sicurezza e difesa. Alla fine degli anni novanta, i terribili conflitti nei Balcani e dopo il genocidio in Ruanda, hanno dato un impulso notevole alla politica di sicurezza e difesa comune, che si riconduce alla European Security Strategy del 2003, voluta da Solana. Da allora però, e nonostante alcuni iniziali successi, quali l’operazione “Concordia” in Macedonia, l’esperienza degli interventi in Afghanistan ed Iraq, assieme alla grave crisi economica che ha colpito il continente, hanno reso i paesi europei meno propensi a ricorrere allo strumento militare in caso di crisi. Una sorta di “interventismo riluttante”: infatti la componente di training e consulenza è di gran lunga quella più importante all’interno delle cinque missioni dell’Unione Europea. Dalla fine dello scorso decennio, i paesi dell’Unione Europea hanno fortemente limitato il proprio apporto a missioni operative, per privilegiare le missioni di “capacity building” o la fornitura di supporto a missioni esecutive dell’ONU o dell’Unione Africana, lasciando a queste organizzazioni l’onere di farsi carico delle varie crisi che si sono succedute. Si pensi ad esempio al Mali, alla Rep. Centrafricana o alla Somalia, dove l’UE contribuisce all’azione della missione dell’UA AMISOM.

Il “capacity building” rappresenta un elemento essenziale della strategia di prevenzione delle crisi ma, a volte, non è sufficiente. A volte, la necessità di un intervento diretto dell’UE appare più urgente, perché solo i paesi europei hanno quel determinato mix di capacità: in questi frangenti, la CSDP dovrebbe rappresentare un’opzione concreta. Penso ad esempio all’epidemia di Ebola, oppure alla grave crisi umanitaria che ha colpito il Mediterraneo alla fine del 2013 con l’afflusso di enormi masse di migranti provocato dalla crisi in Siria. In entrambi i casi, l’assenza di volontà politica a livello europeo ha indotto gli Stati membri più direttamente interessati ad agire da soli: nel primo caso, Gran Bretagna e Francia in Africa occidentale (USA in Liberia); nel secondo caso, l’Italia con l’Operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo centrale.

Le difficoltà del raggiungimento di un consenso a 28 nel quadro della CSDP rappresenta dunque chiaramente il suo più importante limite, soprattutto quando emerge la necessità di un intervento di gestione delle crisi. Ciò, nonostante sia diffusa la consapevolezza dei rischi alla sicurezza europea che derivano da un contesto esterno sempre più instabile, come le recenti notizie dalla Libia, inclusa la chiusura della nostra Ambasciata a Tripoli, dimostrano in maniera evidente. Si torna dunque alla domanda iniziale posta dall’Alto Rappresentante a Monaco: come possiamo contribuire a modellare il nuovo ordine internazionale e con quali strumenti? L’adozione di una nuova strategia di sicurezza a più di un decennio dalla prima fornirà finalmente la chiara percezione delle ambizioni dell’Unione Europea e della sua volontà, non solo della sua capacità, di offrire risposte concrete ad un mondo complesso, interdipendente, ma anche sempre più conflittuale.

In occasione della riunione informale dei Ministri della Difesa dell’Unione Europea a Riga i Ministri hanno accolto la proposta dell’Alto Rappresentante di procedere in due fasi:

– a maggio, i Ministri degli Esteri e della Difesa parteciperanno ad un Consiglio “back to back”, in occasione del quale avranno modo di discutere dei contorni della nuova strategia, la cui bozza verrà circolata presumibilmente nel mese di aprile. Sarà probabilmente una “Strategia” ad ampio spettro: non sarà limitata alla politica di sicurezza, ma riguarderà più in generale anche la politica estera dell’Unione.

– Sulla base dell’andamento di questa discussione a livello ministeriale, l’Alto Rappresentante presenterà per l’approvazione del Consiglio Europeo di giugno dedicato alla difesa un progetto di mandato/conclusioni per la predisposizione della nuova strategia che, negli auspici di tutti, dovrebbe essere adottata formalmente in occasione di un Consiglio Europeo successivo, presumibilmente nel dicembre 2015.

23/02/2015