Rivista Militare, gennaio-febbraio 2015
L’ascesa del sedicente Islamic State of Iraq and Syria – ISIS (Stato Islamico di Iraq e Siria), ridenominatosi Islamic State – IS (Stato Islamico), induce a riflettere sulla natura, portata e recenti sviluppi di salienti aspetti della conflittualità non convenzionale, le cui numerose manifestazioni contravvengono sia alle norme giuridiche sia ai canoni di convivenza civile riguardanti la corretta conduzione delle controversie.
Nel caso dell’ISIS/IS, così come in paragonabili situazioni presenti in altre aree geopolitiche, risalta il ricorso al terrorismo e alla disinformazione. Ancorché distinguibili tra loro, queste due manifestazioni della conflittualità non convenzionale si accompagnano e si rafforzano a vicenda.
E’ quindi opportuno, prima di delineare lo sviluppo e i caratteri distintivi dell’ISIS/IS, soffermarsi sulla natura e portata del terrorismo e della disinformazione.
Nel contesto contemporaneo, ossia dagli Anni Sessanta del secolo scorso in poi, e sotto l’aspetto empirico, il terrorismo è funzionalmente descrivibile, nonostante l’assenza di una definizione universalmente recepita, come una forma di conflittualità non convenzionale caratterizzata da quattro elementi essenziali:
(1) la violenza criminale, che lo distingue dall’uso legittimo della forza;
(2) il movente politico, politico-religioso o politico-sociale, che lo differenzia dalla delinquenza comune e dalla criminalità organizzata, i cui fini ultimi sono generalmente economici e comunque non politici;
(3) la clandestinità a livello di strutture e dinamiche, che lo separa dalla violenza politica ordinaria per sua natura alla luce del sole;
(4) l’azione proveniente da attori non statali, con o senza l’appoggio di Stati sostenitori, che lo contraddistingue da violazioni del diritto internazionale direttamente attribuibili a singoli Stati.
In mancanza della totalità di questi quattro elementi, ci si trova consequenzialmente di fronte a fenomeni diversi dal terrorismo.
Va aggiunto che il terrorismo è interno quando coinvolge cittadini e territorio di un singolo Stato, mentre è internazionale quando coinvolge cittadini e/o territorio di due o più Stati.
Il terrorismo è ulteriormente qualificabile come uno stadio nello spettro potenzialmente progressivo della conflittualità non convenzionale oppure come uno strumentoin ogni stadio precedente o successivo. Come stadio il terrorismo segue l’agitazione sovversiva, che gli è necessariamente propedeutica. Come strumento il terrorismo può manifestarsi sia nello stadio dell’agitazione sovversiva sia in quelli eventualmente successivi allo stadio del terrorismo, cioè l’insorgenza, la guerra civile e la rivoluzione[1].
Questi cinque fenomeni, oltre a costituire manifestazioni o forme di conflittualità non convenzionale parimenti, per esempio, al colpo di Stato e alla disinformazione, sono altresì – a differenza, però, tanto del colpo di Stato quanto della disinformazione – qualificabili come stadi nello spettro della conflittualità predetta.
Similmente al terrorismo, la disinformazione è una delle manifestazioni più diffuse della conflittualità non convenzionale e, allo stesso tempo, uno strumento che spesso accompagna, in via complementare, altre manifestazioni di conflittualità non convenzionale.
La disinformazione, riscontrabile sin da tempi remoti sulla scena mondiale, rientra nell’ambito più vasto della propaganda, la quale abbraccia qualunque forma di comunicazione intesa ad influire sulle opinioni, atteggiamenti e comportamenti di un pubblico di riferimento per trarne un beneficio diretto o indiretto nel breve, medio o lungo termine.
Nell’ambito della propaganda, la disinformazione è specificamente protesa a trarre in inganno e si esplica sostanzialmente in due modi.
Il primo comporta la creazione e la disseminazione di notizie false o fuorvianti. Il secondo consiste nella manipolazione di una o più notizie con omissioni o alterazioni. La notizia falsa, fuorviante o manipolata può, a seconda delle circostanze o degli obiettivi specifici, essere diretta ad un destinatario circoscritto oppure ad un pubblico illimitato. Il ricorso alla disinformazione è alla portata di qualsiasi aggregazione umana, particolarmente se munita di strutture o componenti ad essa specificamente dedicate. La propaganda e la disinformazione abitualmente accompagnano il terrorismo sia interno sia internazionale, sia quale stadio sia quale strumento nel contesto della conflittualità non convenzionale.
A prescindere dalla specifica fattispecie (omicidio, sequestro di persona, lesioni o quant’altro), ogni singolo atto terroristico necessariamente esprime di per se un intento e di riflesso propaganda la causa dell’aggressore, così influendo psicologicamente o materialmente quantomeno su una frazione della popolazione. L’atto terroristico è sempre una forma mirata di violenza criminale che non solo investe la vittima fisica o materiale designata, ma comporta l’aggressione psichica – vis animo illata – nei confronti della compagine sociale.
Da notare, però, che lo scopo fondamentale del terrorismo – sia interno sia internazionale, sia quale stadio sia quale strumento nello spettro potenzialmente progressivo della conflittualità non convenzionale – non è quello di fare spettacolo, ma di perseguire un fine politico, politico-religioso o politico sociale.
In modo più subdolo rispetto alla propaganda nell’accezione generale del termine, leaggregazioni terroristiche ricorrono di volta in volta anche alla disinformazione avvalendosi di varie metodiche fra cui risaltano:
(1) l’emissione di comunicati contenenti disquisizioni dottrinarie e analisi socio-politiche basate su falsità e talvolta accompagnati da fotomontaggi;
(2) l’adozione di strutture binarie composte – da un lato – da elementi terroristici e – dall’altro lato – da elementi nell’apparenza dediti unicamente a sostenere pacificamente o istituzionalmente una determinata causa o addirittura a porre in essere benefiche opere assistenziali;
(3) le rivendicazioni emesse da aggregazioni plurime per lo stesso attentato e le assunzioni di paternità sotto denominazione diversa da quella dell’aggregazione effettivamente responsabile, in entrambi i casi per depistare le indagini oppure per generare il convincimento che il fenomeno terroristico di una determinata matrice coaguli numerose aggregazioni o si estenda al di là della propria portata effettiva;
(4) la negazione del reato, insito nell’attentato, capovolgendone la responsabilità e attribuendola al comportamento della vittima;
(5) il vanto ingannevole di fatti o atti – dannosi o cruenti – di altra natura, che potrebbero apparire di matrice terroristica, al fine d’ingigantire l’immagine dell’aggressore o la dimensione della minaccia;
(6) i falsi allarmi intesi a generare disordine e arrendevolezza;
(7) gli attentati perpetrati sotto falsa denominazione per far ricadere la responsabilità su determinati avversari.
(8) le comunicazioni con falsi contenuti tra elementi terroristici intese ad essere intercettate dalle forze dell’ordine o dai servizi di sicurezza onde depistarli[2].
A queste metodiche vanno aggiunti i tentativi, emersi recentemente nel pubblico dominio, da parte di aggregazioni terroristiche d’infiltrare direttamente o per interposta persona i servizi d’intelligence con fini che includono la produzione di disinformazione all’interno dei servizi stessi per depistare indagini anti-terrorismo[3].
Alla luce di quanto precede, l’ISIS/IS va esaminato e fenomenologicamente inquadrato con rispetto alle proprie origini, fini, dinamiche e trasformazioni nel contesto generale della conflittualità non convenzionale e più particolarmente del terrorismo, della propaganda e della disinformazione.
Tale compito, di per se complesso, è reso ulteriormente arduo dalla pluralità di denominazioni con cui è noto l’ISIS/IS (se ne annoverano ben 26 nella relazione annuale sul terrorismo relativa al 2013 redatta dal Dipartimento di Stato statunitense[4]), nonché dall’incompletezza delle informazioni disponibili e dalla discordanza almeno parziale delle interpretazioni analitiche.
Le origini dell’ISIS/IS risalgono al giordano Abu Musab al-Zarqawi, radicale islamico sunnita ferocemente anti-sciita, capofila di volontari arabi pro-talebani accorsi ad Herat, Afghanistan, e poi fuggito nel 2001 nell’Iraq settentrionale, dove aderì ad Ansar al-Islam (Partigiani dell’Islam), aggregazione separatista curda. All’indomani dell’intervento statunitense in quel Paese, egli fondò nel maggio del 2003 al-Tawhid wal Jihad (Monoteismo e Guerra Santa) con l’intento di contrastare la presenza statunitense e occidentale. Nell’ottobre del 2004 giurò almeno pro forma fedeltà al saudita Osama bin Laden, all’epoca figura centrale di al-Qaida, e ossequiosamente ridenominò la propria aggregazione al-Qaida in Iraq (AQI). L’anno successivo, in contrasto con la politica di al-Qaida, essa stessa di osservanza sunnita, AQI iniziò a colpire i mussulmani sciiti. Defunto al-Zarqawi nel giugno del 2006 sotto un bombardamento aereo statunitense, AQI fu diretta fino all’aprile del 2010 dall’egiziano Abu Hamza al Muhajir e da Abu Omar al-Baghdadi, anch’essi uccisi durante un bombardamento aereo statunitense. Abu Bakr al-Baghdadi ne assunse la guida il mese successivo. Già nell’ottobre del 2006 AQI si era proclamata Islamic State of Iraq – ISI (Stato Islamico dell’Iraq). Nonostante il pesante indebolimento subito durante la rafforzata campagna anti-terroristica guidata dagli Stati Uniti (nota con il termine inglese surge), l’ISI si rivitalizzò nel 2011 con il ritiro delle truppe di Washington dall’Iraq.
ell’aprile del 2013 l’ISI si allontanò da al-Qaida – passata sotto la leadership di Ayman al-Zawahiri a seguito dell’uccisione di Osama bin Laden avvenuta nel maggio del 2011 durante un’operazione eseguita da incursori della marina statunitense – e annunciò, contraddetto da al-Qaida, l’assorbimento di Jabhat al Nusra (Support Front for the People of the Levant ossia Fronte di Sostegno per il Popolo del Levante), aggregazione sunnita siriana riconosciuta da al-Qaida come propria affiliata e ad essa rimasta legata. Ancora nell’aprile del 2013, con l’espansione operativa in Siria, al-Baghdadi trasformò il nome di ISI in Islamic State of Iraq and the Levant – ISIL (Stato Islamico di Iraq e del Levante), da allora spesso riportato come Stato Islamico di Iraq e al-Sham oppure Stato Islamico di Iraq e Siria, entrambi riducibili all’acronimo ISIS. Il 29 giugno 2014, a seguito del consolidamento territoriale in Iraq nordoccidentale e Siria orientale, l’ISIL/ISIS proclamò la ricostituzione del Califfato dichiarandosi tout court Stato Islamico, appunto IS come su premesso, e il mese successivo al-Baghdadi si autoproclamò califfo assumendo il nome di Califfo Ibrahim e pretendendo contemporaneamente la fedeltà dei mussulmani ovunque presenti[5].
Nel breve/medio termine, l’ISIS/IS mira al rovesciamento dei governi di Iraq, Siria, Libano e Giordania e alla formazione di uno Stato governato secondo un’interpretazione radicale dell’Islam impostata sulla sharia. Nel lungo termine, l’ISIS/IS è ulteriormente proteso verso la jihad – intesa come “guerra santa” nell’accezione di militanza armata religiosamente prescritta – per eliminare ogni influenza occidentale dal Medio Oriente e verso la distruzione d’Israele. Radicati in questi fini sono l’intento di proiettarsi quale nucleo di un impero islamico globale, l’imposizione di un’ideologia islamica totalizzante di stampo estremista salafita-takfiri su tutti i mussulmani e il conseguente annientamento di coloro che l’ISIS/IS accusa di apostasia[6].
Dibattuto dagli analisti è il rapporto dell’ISIS/IS, significativamente già AQI, con al-Qaida tanto sotto la leadership di Osama bin Laden quanto sotto quella attuale di Ayman al-Zawahiri. Varie analisi asseriscono la protratta esistenza di un legame organico tra le due aggregazioni argomentando, fra l’altro, che quel legame sarebbe dimostrato da ordini pubblicamente emessi da al-Zawahiri ad al-Baghdadi[7]. Vengono inoltre generalmente enfatizzati, a riprova del trascorso legame, la “spaccatura” e lo ”scisma” del 2013-2014[8]. Altre analisi concludono che lo scisma è “reale”, ma ricordano che lo stato di tensione bilaterale si protraeva da oltre un decennio. Al riguardo è stato altresì osservato che nella visione di al-Qaida le sommosse interne nei confronti di “regimi apostati” debbono essere incoraggiate con il proselitismo, mentre nel disegno dell’ISIS/IS ogni mezzo è ritenuto valido per spingere le popolazioni all’insurrezione[9]. Da un altro versante analitico si esclude, per contro, che l’ISIS/IS, sotto qualunque denominazione da esso periodicamente assunta, sia mai stato una “organizzazione affiliata” ad al-Qaida. Persuasivamente gli si attribuisce, piuttosto, la natura di “aggregazione jihadista concorrenziale”[10]. Infine, chi pur ascrivendo alle due aggregazioni una tramontata stretta alleanza ne sottolinea le differenze nella “tattica, strategia e dirigenza” adducendo in via esemplificativa, da un lato, le decapitazioni e crocifissioni praticate sotto la conduzione di al-Baghdadi nei confronti di avversari locali e, dall’altro lato, l’insistenza di al-Zawahiri sul “nemico lontano”, termine che si riferisce prevalentemente agli Stati Uniti d’America[11].
L’ancorché notevole importanza di questo dibattito sotto il profilo storico è sovrastata dall’intrascurabile aspetto di concreta attualità riguardante le dimensioni del jihadismo[12]. Da non confondersi con la pacifica aderenza all’Islam quale culto monoteista portatore di principi e valori, il jihadismo è un fenomeno molto più vasto rispetto alle singole aggregazioni – come le prefate al-Qaida e ISIS/IS – che compongono questo movimento aggressivo, il quale concepisce la religione come ideologia anziché come fede, ossia il rapporto tra Creatore e credente, e straripa quindi nella sfera politica anche in forma violenta[13]. Rimane pertanto valida la catalogazione convenzionale delle aggregazioni jihadiste in termini di “strati”:
(1) al-Qaida, qualificata come “centrale” (core in inglese) nonostante l’indebolimento subito dopo la reazione internazionale ai tragici fatti di New York e Washington dell’11 settembre 2001;
(2) aggregazioni ad essa “affiliate”, ma con ampia autonomia operativa, quali al-Qaida nella Penisola Araba – AQAP stanziata sostanzialmente nello Yemen, al-Shabab nel Corno d’Africa, al-Qaida nel Maghreb Islamico – AQIM e gruppi affini nel Sahel nordafricano e regione sahariana e Jabhat al-Nusra in Siria;
(3) aggregazioni ad essa “alleate”, altrimenti qualificate come “la rete più estesa di al-Qaida” (the broader al-Qaida network in inglese), presenti fra l’altro in Iran, Nigeria, Sinai e Caucaso settentrionale;
(4) reti ed individui da essa ispirati che includono elementi non in diretto collegamento con la predetta e presenti in ogni continente[14].
A prescindere dal rapporto sostanziale o meramente formale, comunque strumentale, intercorso tra al-Qaida e l’ISIS/IS e a prescindere persino dalla specifica inquadratura delle due aggregazioni, entrambe hanno contribuito e contribuiscono alla vitalità delle strutture e dinamiche del jihadismo.
L’ISIS/IS, palesemente sorto come un’aggregazione inquadrabile nello stadio del terrorismo, ha successivamente raggiunto lo stadio dell’insorgenza in cui, nell’esercitare per definizione un controllo territoriale parziale e almeno temporale sulle su indicate aree irachene e siriane ed annesse risorse, continua ad avvalersi del terrorismo quale strumento. Come in pregresse relazioni annuali, l’ultima analisi del Dipartimento di Stato statunitense, che ancora lo riporta prudentemente sotto il nome al-Qaida in Iraq – AQI, annovera l’ISIS/IS fra le ”organizzazioni terroristiche straniere”[15] e ne descrive, riferendosi allo stesso come AQI/ISIL, il sistematico ricorso ad ordigni esplosivi improvvisati, decapitazioni, cecchini muniti di armi con silenziatore, attentati suicidi diretti indistintamente contro militari e civili e deflagrazioni intese a causare stragi[16]. Analogamente, istituti di ricerca e altri osservatori non governativi attribuiscono all’ISIS/IS “atti di terrorismo, operazioni insorgenziali e azione militare più convenzionale”[17] o, similmente, “tattiche militari e terroristiche”[18].
L’ISIS/IS nel proclamarsi “Stato Islamico” svolge sia propaganda per quanto riguarda le proprie mire, sia disinformazione nel tentativo di accreditarsi come un’effettiva entità statuale dotata di valenza politica e giuridica. Questa pretesa statuale dell’ISIS/IS, da nessuno Stato riconosciuta,[19] è per certi versi confortata da osservatori esterni che hanno utilizzato espressioni parzialmente sfruttabili dallo stesso ISIS/IS, quali “entità politica sovrimposta” (pur riconoscendo che l’ISIS/IS opera in piena violazione dei confini formali dell’Iraq e della Siria)[20], “organizzazione governativa” (attribuendole, comunque, un disegno totalitario, espansivo ed egemonico)[21], “quasi stato” (accusandolo, però, di intenti comprensivi del genocidio)[22], “stato de facto” (tuttavia precisando che rende servizi limitati e amministra giustizia ultraconservatrice)[23] e “piccolo stato” (mettendo soggettivamente in dubbio il contributo dell’intervento militare nei confronti dell’ISIS/IS)[24].
Favorito dalle tensioni settarie in Iraq, dall’arrendevolezza di reparti delle forze armate e di polizia irachene e dalle condizioni caotiche e d’instabilità in territorio siriano risalenti quantomeno alla cosiddetta “primavera araba” del 2011, l’ISIS/IS esercita con risultati alterni forme di soggezione, sebbene inqualificabili come sovranità, sui cittadini nelle predette aree di confine tra i due Stati[25]. Nel perseguire pretestuosamente un legittimo imperio, l’ISIS/IS si è dato una struttura con al vertice le figure del califfo e del concilio della Shura di storica memoria, a cui ha subordinato una serie di concili funzionali di svariata natura: provinciale, militare, affari religiosi, finanze e mass media/propaganda, oltre ad organi gerarchicamente minori[26]. Per il sostentamento economico, l’ISIS/IS si avvale dei proventi dal contrabbando di petrolio prodotto nei campi iracheni e soprattutto siriani in suo possesso, nonché in minor misura ricorrendo all’imposizione tributaria locale, all’estorsione, ai riscatti ed al saccheggio, mentre più limitati sono i contributi finanziari di sostenitori privati esteri[27]. Gli è inoltre attribuita l’acquisizione di $400milioni in contanti e oro sottratti alla Banca Centrale di Mosul[28].
Militarmente l’ISIS, “organizzazione altamente visibile” e contemporaneamente “clandestina”[29], conta su di una forza numerica che, secondo stime approssimative, varia dai 20.000 ai 31.500 aderenti[30], fra cui gruppi tribali sunniti, ex elementi dell’esercito e servizi di sicurezza del deposto regime Ba’ath del defunto Saddam Hussein e transfughi dei governi del siriano Bashar al Assad e dell’iracheno Nouri al Maliki[31]. Come armamento ed equipaggiamento l’ISIS/IS dispone di arsenali, che includono armi leggere e pesanti di fornitura statunitense, sottratti al governo iracheno post Saddam Hussein[32]. L’istruzione, ove l’ISIS/IS è in condizione d’imporla, si limita all’indottrinamento religioso da esso promosso a scapito della formazione culturale e tecnica[33]. Calzante, nel definire la configurazione dell’ISIS/IS, si è rivelata in sintesi l’espressione “apparato pseudo-istituzionale”[34].
In considerazione della performance dell’ISIS/IS – e di quella di precedenti regimi jihadisti nello stesso Iraq (2006-2008), Somalia (2007-2012), Yemen (2011-2012) e Mali settentrionale (2012-2013) – ne viene messa in dubbio la consistenza e durabilità governativa sotto tre aspetti fondamentali: l’indispensabile acquiescenza della popolazione soggetta, l’effettiva capacità di svolgere funzioni e servizi di governo e la sostenibilità dell’ordinamento e apparati connessi[35]. Particolari riserve riguardano il fatto che l’ISIS/IS si affida alla repressione e all’imposizione piuttosto che allo sviluppo e alla stabilità in un’area quale l’Iraq caratterizzata e afflitta da divisioni settarie a livello di religione, etnia e lingua[36]. Viene contemporaneamente fatto presente che pure in Siria agiscono forze rivoluzionarie non allineate con l’ISIS/IS[37]. Il successo ottenuto nell’occupare e detenere territorio viene parimenti messo in discussione data la conseguente necessità di saperlo amministrare e provvedere ai bisogni degli abitanti[38]. Inoltre, si esclude che il modello di governo voluto ISIS/IS abbia maggiori possibilità, rispetto allo stato centralizzato, settario e di polizia imposto agli arabi per decenni, di offrire al popolo arabo una vita dignitosa[39]. Infine, con particolare riferimento alle formazioni armate dell’ISIS/IS, è da verificare in quali casi siano effettivamente composte da legittimi combattenti conformemente alle Convenzioni dell’Aia del 1907 e di Ginevra del 1949 e in quali casi siano qualificabili come terroristi o semplici criminali comuni inseritisi in un conflitto interno e transnazionale.
Comunque numerose, le cause di apprensione attribuibili al sorgere e perdurare dell’ISIS/IS possono essere così sintetizzate.
• Ancor prima che l’ISIS/IS apparisse minacciosamente e cruentemente sulla scena, al-Qaida ed il jihadismo sono stati con frequenza rappresentati come entità virtuali[40], spesso trascurando che quando un’aggregazione si pone il fine di creare un regime, sia esso locale, regionale o universale, ciò comporta la progettazione di un governo non virtuale ma saldamente stanziato su uno o più territori. E’ ancora più allarmante il fatto che l’esercizio del potere, ancorché parziale e temporaneo, in uno o più Paesi può procurare l’espandersi di un terrorismo pilotato in un’intera regione grazie alla creazione di rifugi, centri di reclutamento, strutture di stoccaggio e basi operative capaci di fungere anche da trampolini di lancio transnazionale.
• Correlabile a quanto appena esposto è l’inosservanza e la sfida dell’ISIS/IS nei confronti dei già labili e porosi confini nazionali contemporanei[41] in un’area geopolitica affetta da antiche e perduranti crepe settarie, dai particolari retaggi del colonialismo e della decolonizzazione, dal mancato o lento sviluppo politico nel contesto della modernità e da personalismi e corruzione.
• Sebbene alcuni analisti per ora disconoscano all’ISIS/IS un significativo potenziale terroristico operativo extra-regionale, particolarmente per quanto riguarda attentati su larga scala[42], Abu Bakr al-Baghdadi, l’autoproclamato Califfo Ibrahim, ha proferito agli Stati Uniti nel 2012 la minaccia di un attacco al “cuore dell’America”[43]. Si tratta quantomeno di una forma di violenza psichica con la concreta possibilità che tale proposito venga raccolto da elementi altrove stanziati che condividono la visione e i fini politico-religiosi dell’ISIS/IS senza necessariamente farne parte.
• La riconosciuta mancanza di uno Stato patrono, di un alleato regionale o di una compiacente grande potenza offre paradossalmente all’ISIS/IS un forte strumento di propaganda nel dichiarare e vantare la propria capacità di godere di una quasi totale autosufficienza[44].
• Notevole e inquietante è l’organizzazione propagandistica dell’ISIS/IS tanto sul piano, per così dire, promozionale quanto su quello della disinformazione. La propria perizia professionale in materia si esprime efficacemente nella capacità di trasmettere e diffondere, sotto forma di vere e proprie campagne mediatiche inclusive di video e social media, messaggi che raggiungono il target di riferimento aggirando i convenzionali e abituali canali di comunicazione. Vanno ricordate, a titolo di esempio, le raccapriccianti esecuzioni filmate di ostaggi britannici e americani intese non solo a diffondere la causa del jihadismo, ma soprattutto ad intimidire l’Occidente[45]. La sistematicità dell’opera mediatica dell’ISIS/IS è inoltre confermata dal settimanale Islamic State Report, disseminato via Internet e corredato da video, link con siti di reclutamento e persino indicazioni per acquisti online[46].
• Infine, da annoverarsi fra le principali minacce poste dall’ISIS/IS e, in questo caso, da altre forze irregolari o aggregazioni terroristiche è la capacità di raccogliere migliaia di cosiddetti “combattenti stranieri” (foreign fighters, secondo l’espressione inglese entrata nell’uso comune) particolarmente in Siria. Mentre la cifra totale di circa 16.000[47] – di cui una non trascurabile seppure non precisabile percentuale aderirebbe all’ISIS/IS – è approssimativa, essa risulta superiore al numero di jihadisti stranieri accorsi nei conflitti del pregresso ventennio in Bosnia, Cecenia, Afghanistan, Pakistan, Iraq, Somalia, Yemen e Mali[48]. Si calcola che degli attuali jihadisti impegnati in Siria il 70% provenga dal Medio Oriente ed Africa Settentrionale, particolarmente Giordania, Arabia Saudita, Tunisia e Libia; il 18% dall’Europa Occidentale, particolarmente Francia, Regno Unito, Germania, Belgio e Olanda; e il resto da numerose altre aree fra cui Balcani, ex repubbliche sovietiche, Stati Uniti, Canada e Australia[49]. Notevole la costatazione che un elevato numero di jihadisti occidentali siano recenti convertiti all’Islam[50]. Vari fattori spiegano tale partecipazione in misura senza precedenti: la relativa facilità nel raggiungere la Siria; lo sviluppo e il raffinamento delle reti di reclutamento e di assistenza nella trasferta; la risonanza ideologica ed emotiva, per quanto riguarda in particolare l’ISIS/IS, del progetto di “Califfato” o “Stato Islamico”; le maggiori comodità materiali e minori pericoli riscontrabili in Siria rispetto ad altri teatri conflittuali; e il sentimento anti-sciita presente nel contesto settario[51].
Si osserva che, nonostante il ruolo dell’Internet, continui a prevalere il contatto personale e diretto nella radicalizzazione e nel reclutamento[52] e pertanto risaltano quali ambienti propizi numerosi luoghi – almeno nell’apparenza – religiosi, associazioni, improvvisati centri sociali, determinati quartieri etnici, campi profughi e penitenziari. L’affluenza straniera jihadista in Siria ed altre aree d’interesse per l’ISIS/IS costituisce un particolare rischio per l’Europa occidentale, dalla quale si sarebbero mossi oltre 2000 militanti con relativi passaporti europei[53]. Costoro non solo sono in condizione di viaggiare a piacimento ed effettuare ripetute trasferte nel sedicente Stato Islamico, ma di acquisire conoscenze e tecniche idonee per il proselitismo e il reclutamento radicale sul continente europeo e porre in essere attentati terroristici sulla sponda settentrionale del Mediterraneo di cui l’Italia è la maggiore proiezione ed un essenziale punto di transito.
Contrastare la fuorviante attrazione proiettata e la concreta minaccia posta dall’ISIS/IS, così come da similari aggregazioni, comporta l’impiego della totalità degli strumenti ordinari, dall’intelligence al controllo del territorio e delle frontiere, e – ove indispensabili e con la consapevolezza dei loro limiti – delle misure straordinarie, dalle operazioni speciali all’impiego delle forze armate. Il contrasto al terrorismo, in tutte le sue forme e comunque accompagnato da altre manifestazioni della conflittualità non convenzionale, richiede non solo la determinazione dei governi dei Paesi colpiti e la fattiva collaborazione multinazionale, ma indispensabilmente la volontà popolare di risolvere ogni controversia nel pieno rispetto della correttezza sociale e dei diritti umani.
[1] Per una disamina più ampia del terrorismo contemporaneo, vedi Vittorfranco Pisano, L’Intervento Militare Quale Moltiplicatore del Terrorismo Internazionale? Apporto e Limiti delle Forze Armate e dell’Intelligence Militare nella Lotta Contro il Terrorismo, Centro Militare di Studi Strategici, Roma, 2008, con particolare riferimento al Capitolo I – Delimitazione della Minaccia Terroristica nel Mondo Contemporaneo.
[2] Per ulteriori osservazioni sulla disinformazione, vedi Vittorfranco Pisano, “Terrorismo e Information Warfare: Disinformazione, Manipolazione dell’Opinione Pubblica e Possibili Contromisure”, Modernizzazione e Sviluppo, N.1-2-3, I-II-III quadrimestre 2004.
[3] Come illustrato da Michael J. Sulick, “Counterintelligence in the War Against Terrorism”, Declassified Articles from Studies in Intelligence: CIA’s In-House Intelligence Journal, Cryptome, 19 settembre 2014.
[4] United States Department of State, Bureau of Counterterrorism, Country Reports on Terrorism 2013, Washington, D.C., aprile 2014, p.304.
[5] Le origini e l’evoluzione dell’ISIS/IS sono tracciate con qualche variante nelle periodiche relazioni e aggiornamenti pubblicati da noti enti di ricerca statunitensi e britannici quali Brookings, Carnegie Middle East Center, Center for Strategic and International Studies, Council on Foreign Relations, Foreign Policy Research Institute, Hoover Institution, RAND Corporation, Royal United Services Institute e The Heritage Foundation. Vedi anche Richard Barrett, The Islamic State, The Soufan Group, New York, novembre 2014 e Ely Karmon, “Al-Qa’ida and the War on Terror After the War in Iraq”, Middle East Review of International Affairs, Vol. 10, N.1, marzo 2006.
[6] Così come concisamente riportato in Yezid Sayigh, ISIS: Global Islamic Caliphate or Islamic Mini-State in Iraq?, Carnegie Middle East Center, 27 luglio 2014 e Charles D. Stimson, A Framework for an Authorization for Use of Military Force Against ISIS, Backgrounder No. 2957, The Heritage Foundation, 24 settembre 2014. Vedi inoltre Barrett, ibidem, p.5.
[7] William McCants, ad esempio, definisce “mito” l’asserzione che “lo Stato Islamico non è mai stato al Qaeda” in Up Front, Brookings, 26 agosto 2014.
[8] Vedi, ad esempio, Raffaello Pantucci & Clare Ellis, The Threat of ISIS to the UK, Briefing Paper, Royal United Services Institute, 18 giugno 2014.
[9] “Competing Jihad: The Islamic State and al Qaeda”, Critical Threats, 1 settembre 2014.
[10] Parere espresso da Ely Karmon, senior research scholar presso The Institute for Counter-Terrorism (ICT) di Herzliya (Israele), in corrispondenza con l’autore di queste pagine nell’ottobre del 2014. La valutazione di Karmon è condivisa da Erin Marie Saltman & Charlie Winter, Islamic State: The Changing Face of Modern Jihadism, Quilliam, 2014, p. 27, in cui gli autori asseriscono la “rivalità” di vecchia data e la costante mancanza di relazioni “armoniose” tra al-Qaida e l’ ISIS/IS.
[11] Daniel Byman , “Five myths about the Islamic State”, The Washington Post, 3 luglio 2014.
[12] A titolo comparativistico è istruttivo notare che su 54 aggregazioni terroristiche elencate nella relazione annuale per il 2013, il Dipartimento di Stato di Washington ne include 34 di stampo radicale islamico. Esclusi da questo elenco sono i gruppuscoli effimeri che si costituiscono occasionalmente. Vedi United States Department of State, op. cit., pp. 266-267.
[13] La distinzione tra religione-fede e religione-ideologia è esaurientemente illustrata in R. Scott Appleby, Religious Fundamentalisms and Global Conflict, Foreign Policy Association, New York, 1994.
[14] Vedi Seth G. Jones, Back to the Future: The Resurgence of Salafi-Jihadists, Before the Committee on Armed Services United States House of Representatives, RAND Corporation, Santa Monica, California, 4 febbraio 2014 e Robin Simcox, “Al-Qaida Expands its Reach: The terrorist group remains relevant by using affiliates”, Per Concordiam, George C. Marshall Center for European Security Studies, Volume 5, Issue 3, settembre 2014.
[15] United States Department of State, op. cit., sezione intitolata “U.S. Government Designated Foreign Terrorist Organizations”, pp. 266-267.
[16] Ibidem, pp. 136-139 e 305.
[17] Barrett, op. cit., p.36.
[18] Greg Miller & Juliet Eilperin, “U.S. intelligence agencies remain uncertain about danger posed by Islamic State”, The Washington Post, 13 settembre 2014.
[19] Altro caso di auto-proclamazione è quello del defunto Emirato Islamico dell’Afghanistan, che controllava il 90% del territorio nazionale mentre ospitava Osama bin Laden ed al-Qaida. Il sedicente ”Emirato” ebbe inizialmente il riconoscimento diplomatico unicamente dell’Arabia Saudita, Pakistan ed Emirati Arabi poi ravvedutisi.
[20] Douglas A. Ollivant & Terence K. Kelly, “Defeating the Islamic State: Crafting a Regional Approach”, warontherocks.com, RAND Corporation , 22 luglio 2014.
[21] Volker Perthes, Islamic State (IS): A totalitarian expansive and hegemonic project, Qantara.de, 30 settembre 2014.
[22] Così si è espresso il Segretario di Stato degli Stati Uniti John F. Kerry citato in Miller & Eilperin, op. cit., p.6.
[23] Zachary Laub, Islamic State in Iraq and Syria, Backgrounders, Council on Foreign Relations, 8 agosto 2014.
[24] Frederick W. Kagan, Testimony before the House Committee on Homeland Security Subcommittee on Terrorism and Intelligence, 24 luglio 2014.
[25] In un saggio gli si attribuisce il controllo di circa un terzo dell’Iraq e della Siria, territorio in cui asseritamente vivono fino ad ottomilioni di abitanti. Vedi Perthes, op. cit.
[26] Ne descrive la struttura e personaggi chiave Barrett, op. cit., pp. 24-34.
[27] Per una panoramica delle fonti di finanziamento vedi Eckart Woertz, “How Long Will ISIS Last Economically?, Notes Internacionals, CIDOB Barcelona Centre for International Affairs, ottobre 2014.
[28] Sunny Hundal, “The ISIS Leader was not trained by the CIA or Mossad, and Snowden didn’t say it”, Liberal Conspiracy, 14 agosto 2014.
[29] Barrett, op. cit., p. 4.
[30] Stime della Central Intelligence Agency riportate in Barrett, ibidem, p.35. Riportate anche in Michael R Gordon, Eric Schmitt & Helene Cooper, “U.S. Faces Tough Struggle on Ground to Oust ISIS”, The New York Times, 18 settembre 2014, in cui si specifica che i due terzi di costoro sarebbero stanziati in Siria.
[31] Barrett, ibidem, pp. 8 e 18-23. Il reclutamento dell’ISIS/IS è inoltre condizionato da due limiti: la scarsa base sociale e l’attrazione riconducibile ad elementi di provenienza sostanzialmente salafita. Vedi Sayigh, op. cit., p.2.
[32] Miller & Eilperin, op. cit., p.7
[33] Barrett, op. cit., p. 44.
[34] Espressione usata dall’ Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, Capo di Stato Maggiore della Difesa della Repubblica Italiana, citato in Clara Salpietro, “Difesa, sicurezza e interesse nazionale: I temi dibattuti al CASD per l’apertura dell’anno accademico”, worldwebnews.it, 9 novembre 2014.
[35] Daveed Gartenstein-Ross & Amichail Magen, “The jihadist governance dilemma”, The Washington Post, 18 luglio 2014.
[36] Vedi Anthony H. Cordesman, The New “Great Game” in the Middle East: Looking Beyond the “Islamic State” and Iraq, Center for Strategic and International Studies, 9 luglio 2014. L’autore fornisce rilevanti dati e statistiche non solo riguardanti fattori di instabilità e conflitto in Iraq e Siria, ma che concernono e coinvolgono anche Libano e Iran.
[37] Dafna Hochman Rand, Testimony before the House Permanent Select Committee on Intelligence, Center for American Security, 18 settembre 2014. In Siria, fra l’altro, i capi locali dell’ISIS/IS sono quasi completamente di nazionalità non siriana, come notato in Sayigh, op. cit., p. 2.
[38] Peter, R. Mansoor, “The Rise and Inevitable Fall of the ISIS Caliphate”, Strategica: Conflicts of the Past as Lessons for the Present, Hoover Institution, 1 agosto 2014.
[39] Rami K. Khouri, “Iraq Is the New Proving Ground for Arab Statehood”, Middle East Online, 13 agosto 2014.
[40] Sull’aspetto “virtuale” del terrorismo considerato da più prospettive, vedi Magnus Ranstorp, “The Virtual Sanctuary of al-Qaida and Terrorism in the Age of Globalization” in Johan Eriksson e Giampiero Giacomello (a cura di), International Relations and Security in the Digital Age, Routledge, Londra, 2007.
[41] Marc Pierini, Do not Belittle the Islamic State, Carnegie, Europe, 10 luglio 2014. Per l’autore la minaccia si estende dall’Iraq e dalla Siria alla Giordania e alla Turchia.
[42] Miller & Eilperin, op. cit., p.12.
[43] Stimson, op. cit., p.2.
[44] Aspetto trattato in F. Gregory Gause III, ISIS and the New Middle East Cold War, Brookings, 25 agosto 2014.
[45] Vedi Pantucci & Ellis, op. cit., pp. 2 e 4.
[46] Vedi Pierini, op. cit., p. 4.
[47] Greg Miller, “Airstrikes against Islamic State do not seem to have affected flow of fighter to Syria”, The Washington Post, 30 ottobre 2014.
[48] J. Skidmore, Foreign Fighter Involvement in Syria, International Institute for Counter-Terrorism, Herzliya, inverno 2014, p.5. Per ammissione della stessa autrice della monografia (pp. 6 e 10), è però impossibile stabilire con precisione a quale delle varie milizie o aggregazioni terroristiche aderiscono i singoli intervenuti dall’estero.
[49] Sam Mullins, “Foreign Fighters in Syria”, Per Concordiam, George C. Marshall Center for European Security Studies, Volume 5, Issue 3, settembre 2014, p.36.
[50] Skidmore, op. cit., p.12.
[51] Per ulteriori considerazioni e dettagli, vedi Aaron Zellin, “The Radicalization of Syria”, Per Concordiam, George C. Marshall Center for European Security Studies, Volume 5, Issue 3, settembre 2014, pp. 28-29.
[52] Vedi Mullins, op. cit., p.37 e Skidmore, op. cit., pp.13-15.
[53] Miller, op. cit.