22 ottobre 2015
L’obiettivo della NATO e dell’Unione Europea nei Balcani occidentali rimane quello della piena integrazione. Attualmente i paesi della regione si trovano a un punto di svolta e il ruolo dell’Atlantic Treaty Association e dei Comitati Atlantici nazionali assume una rilevanza ancora maggiore nel favorire l’avanzamento della prospettiva euro-atlantica e le relazioni con l’Alleanza in un quadro di sicurezza cooperativa.
La visita compiuta il 15 ottobre in Montenegro del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, assume un significato politico molto forte. Non si è trattato solo di una visita del Segretario Generale ma di tutto il Consiglio Atlantico, che ha potuto prendere atto delle riforme attuate dal Montenegro per una piena integrazione nella NATO, che la dirigenza politica del paese auspica possa avvenire in tempi brevi.
L’invito all’adesione verrà formulato dall’Alleanza verosimilmente nel prossimo vertice dei Capi di Stato e di Governo che si terrà l’8 e il 9 luglio 2016 a Varsavia. Il processo fino a luglio avrà come tappa fondamentale il Consiglio Atlantico dei Ministri degli Esteri che si terrà il prossimo dicembre a Bruxelles. Spetta al Consiglio riconoscere i risultati ottenuti dalle riforme che Podgorica ha realizzato nel corso dell’ultimo decennio, formulando la raccomandazione affinché a Varsavia venga rilasciato l’invito ufficiale all’adesione. Si tratta di un processo che richiede ancora diversi mesi e per il quale occorre essere prudenti, ma i significativi e costanti progressi effettuati dal Montenegro consentono di guardare al vertice NATO di luglio con ottimismo.
In occasione della visita del Consiglio Atlantico in Montenegro, la minoranza serba in Montenegro ha ribadito la propria contrarietà all’ingresso della NATO e il partito che la rappresenta ha scelto di non partecipare all’incontro del Segretario Generale Stoltenberg con l’insieme dei partiti montenegrini. Ciononostante, il gradimento da parte dell’opinione pubblica nazionale sul tema dell’adesione all’Alleanza ha visto una notevole incremento negli ultimi tempi. In effetti, più che i riflessi di un’opposizione della parte serba, nell’opinione pubblica montenegrina hanno influito i condizionamenti derivanti dall’attuale scenario internazionale.
In Montenegro, la Federazione Russa ha interessi economici molto forti e questi si sono fatti sentire in maniera piuttosto aggressiva, coerentemente con quella che è la politica di Mosca negli ultimi anni verso l’Alleanza. Tuttavia, è stata proprio questa politica russa a preoccupare ampi strati dell’opinione pubblica montenegrina e a favorire conseguentemente un aumento del consenso popolare per l’adesione alla NATO. La crescita dell’indice di gradimento è stata reso possibile anche grazie all’efficace azione d’informazione e sensibilizzazione condotta dal Comitato Atlantico montenegrino che ha annualmente organizzato una conferenza sulla sicurezza divenuta l’appuntamento di riferimento principale per tutti gli attori del settore nei Balcani.
In Serbia, il livello del dialogo politico e della cooperazione con l’Alleanza è positivo e in costante crescita. Belgrado è parte integrante della Partnership for Peace dal 2006 e all’inizio del 2015 ha sottoscritto un Piano d’azione di partenariato individuale (IPAP), che rappresenta il massimo livello di cooperazione con la NATO per uno stato non membro e prevede una collaborazione molto stretta su settori specifici.
La Serbia ha orientato gli obiettivi del proprio IPAP sulla base delle proprie esigenze, come quelle riguardanti la riforma del settore della sicurezza. E’ stato costituito gruppo di lavoro NATO-Serbia (Defense Reform Group-DRG) che sta lavorando proprio sulle riforme che vanno apportate all’interno del Ministero della Difesa e delle sue strutture. La cooperazione è molto forte anche nei delicati settori delle armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. Esiste, infine, una cooperazione per i piani di emergenza civile. Ad esempio, Belgrado ha richiesto la condivisione dell’esperienza maturata dalla NATO nel fronteggiare le conseguenze di calamità naturali, quali le alluvioni che hanno colpito la Serbia nel 2014.
Il punto centrale nelle discussioni in materia di sicurezza tra la NATO e la Serbia rimane il Kosovo. Al riguardo, Belgrado guarda alla NATO con particolare attenzione, sia nell’ottica di una salvaguardia degli interessi della popolazione serba che del progressivo avvicinamento delle forze di sicurezza del Kosovo alla forma di un esercito. La NATO rappresenta una garanzia di equidistanza e solidità per la Serbia, e l’Italia ha significativamente contribuito a rafforzare tale ruolo guidando in molte occasioni la missione KFOR.
Lo status di neutralità militare dichiarato dalla Serbia, pertanto, non costituisce un freno al rafforzamento delle relazioni con la NATO. Vi sono altri paesi, come la Finlandia e la Svezia, che da decenni cooperano a livello strategico con l’Alleanza in qualità di partner pur restando neutrali. Ciò grazie al fatto che i partenariati della NATO non prevedono formati chiusi, come quelli dell’Unione Europea, ma sono disegnati a seconda delle esigenze avanzate dallo stesso paese partner. È stata tale flessibilità a rendere possibile un forte salto di qualità nella cooperazione tra Serbia e NATO, dove si è registrato un considerevole miglioramento nel rispetto dei tempi, delle necessità e delle proposte che giungono da ambo le parti. Su questi presupposti, il partenariato è destinato a crescere ulteriormente e una visita del Segretario Generale della NATO a Belgrado potrebbe prossimamente sancirne il profilo strategico.
Diversa appare la situazione per gli altri due paesi che aspirano all’adesione all’Alleanza: la Repubblica ex jugoslava di Macedonia (FYROM) e la Bosnia-Erzegovina.
Nella FYROM, la situazione è ferma da tempo e restare fermi a lungo equivale a retrocedere e a perdere posizioni rispetto agli altri paesi che avanzano. Il processo di adesione della FYROM rimane bloccato dalla disputa sul suo nome costituzionale, sul quale la Grecia ho posto in Consiglio Atlantico una questione di sicurezza. La situazione appare ancora lontana dallo sbloccarsi e si colloca per di più in un contesto geostrategico delicato, caratterizzato da crescenti instabilità anche di natura interna. Tuttavia, recenti dichiarazioni emesse da entrambe le parti lasciano presagire un rilancio del negoziato verso una soluzione che apra anche alla FYROM le porte della NATO. E’ un percorso che presenta diversi ostacoli e per il quale i Comitati Atlantici a Skopje ed Atene possono svolgere un ruolo determinante nel sostenere il dialogo e la cooperazione tra i due paesi attraverso iniziative efficaci.
Il dossier relativo alla Bosnia-Erzegovina presenta caratteristiche diverse. Mentre nel caso della FYROM si tratta di una questione bilaterale che necessita di una soluzione bilaterale, in Bosnia-Erzegovina il problema appare tutto interno ed è dato soprattutto dalla tripartizione istituzionale e dell’opinione pubblica. Questa si riflette nella partecipazione politica e nelle strutture di governo, oltre che in elementi concreti che non permettono lo sviluppo e la riforma del settore della sicurezza. Fra questi, la questione relativa alla registrazione degli immobili e del catasto per cui lo stesso Ministero della Difesa non è in grado di certificare come statali determinati immobili, tuttora detenuti da altre entità o autorità locali.
Paradossalmente, la Bosnia-Erzegovina è stata il primo paese della regione ad essere stato interessato dalla cooperazione con la NATO. L’Alleanza è entrata in Bosnia-Erzegovina su mandato della comunità internazionale nel 1992 al fine di porre fine a sanguinosi conflitti, e ha accompagnato sostanzialmente il paese con due missioni (SFOR e IFOR) fino al 2004, allorquando lo ha consegnato nelle mani dell’Unione Europea. Attualmente la NATO è presente a Sarajevo con un quartier generale impegnato in attività di cooperazione in Bosnia-Erzegovina nei settori delle riforme nel settore di sicurezza e difesa. Pertanto, è l’Unione Europea che oggi ha i compiti maggiori per promuovere stabilità e sviluppo economico e sociale nel paese. La NATO è pronta a supportare il processo di adesione della Bosnia-Erzegovina all’Alleanza, ma a tal fine è necessario che il paese acceleri il suo processo di maturazione politica, al cui rafforzamento il Comitato Atlantico bosniaco può offrire uno straordinario contributo.
La piena integrazione euro-atlantica dei Balcani occidentali è un obiettivo possibile. Per raggiungerlo è necessario avere e perseguire una visione strategica regionale in un quadro di sicurezza cooperativa. In tale prospettiva, difatti, il ruolo dell’Unione Europea risulta fondamentale. La NATO è un’organizzazione di difesa collettiva che attraverso i suoi programmi di partenariato mette a disposizione una vasto menu di possibili ambiti di cooperazione che permettono di innalzare anche il livello del dialogo politico. Spetta oggi prevalentemente all’Unione Europea e alla sua azione promuovere una piena integrazione di tutti i paesi della regione nelle istituzioni euro-atlantiche. Concludere i negoziati di adesione all’Unione Europea e alla NATO significa maggiore sicurezza, stabilità, investimenti e crescita: in definitiva, il completamento di quell’unfinished business avviato nei Balcani occidentali negli anni ’90 che l’Atlantic Treaty Association ha attivamente accompagnato sin dalle sue origini.