Con lo stesso shock dato da una doccia fredda, la crisi ucraina ha riportato all’attenzione di uno stanco Vecchio Continente il ruolo ancora centrale della NATO.
Un brusco risveglio, dopo il quale l’Alleanza Atlantica pare oggi davanti a un bivio. Il Carnegie Endowment for Peace ha proposto un paradosso: la NATO pare abbia difficoltà di “guida” proprio mentre aumentano i focolai di crisi in modo inaspettato e subdolo. Viviamo in una realtà nuova che non conosciamo, che necessita di un numero crescente di fornitori di sicurezza. Quindi in buona sostanza, come evidenziato dall’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, ci servirebbe più NATO e non meno.
Il summit di settembre in Galles rappresenta un momento utile per ragionare su questo. Lo scenario lo impone. Si è dibattuto molto in questi anni di come rendere l’Alleanza più agile e reattiva alle sfide di un mondo multipolare, ma con risultati modesti, soprattutto dal punto di vista pratico.
Il 2014 – segnato dai sommovimenti in Crimea che hanno messo a repentaglio la pace ai confini della stessa Europa, ma anche dalla fine della missione ISAF in Afghanistan -, rappresenta probabilmente il classico punto di non ritorno. Allo stato attuale, l’impegno, la visione e la strategia militare adottata non garantiscono più la credibilità e la coesione necessari ad affrontare i tanti nodi del presente e del futuro. Tra questi, per citarne alcuni, la minaccia cibernetica, il contrasto al terrorismo e alla pirateria, la tenuta del versante asiatico, le armi di distruzione di massa e le capacità necessarie per una efficace difesa missilistica.
L’impegno maggiore che la NATO si troverà a fronteggiare non riguarda però uno specifico pericolo proveniente dall’esterno, ma la capacità stessa di rinnovarsi per affrontare quelle sfide.
Il mondo cambia e continua a farlo a una velocità maggiore di quanto il Vecchio Continente stia dimostrando di essere in grado di tenere. Un pericolo inteso bene dagli USA, che da tempo chiedono al loro principale alleato, l’Europa, di non lasciarlo solo davanti alla complessità di un mondo multipolare, orientato a un’instabilità pervasiva, costante e nervosa.
In questo momento infatti uno dei maggiori pericoli per l’Alleanza è il crescente divario tra le due sponde dell’Atlantico nelle spese e investimenti per la difesa, che rischia di minare – come sottolinea il presidente e segretario generale del Comitato Atlantico Italiano, Fabrizio Luciolli – non solo l’interoperabilità tra le forze armate dei Paesi europei della NATO e quelle degli USA, quanto lo stesso legame transatlantico fondato sulla indivisibilità della sicurezza. Attualmente la quota statunitense alla Nato è pari a quasi il 50%, mentre gli Alleati europei sono chiamati ad investire almeno il 2% del PIL nel comparto difesa, obiettivo raggiunto a malapena da pochi Paesi europei.
Di certo non sfugge come in tempi di austerità questo sia un intervento finanziariamente difficile, ma è altrettanto evidente che per sopperire a queste mancanze l’Europa deve decidersi a compiere il “grande passo” verso la condivisione del know-how nel settore difesa e l’acquisizione a livello continentale di nuove capacità tecnologiche militari orientate a una comune gestione della sicurezza, ovvero una smart defense che permetta di fare di più, impiegando meno risorse.
Una situazione che prende plasticamente la forma di tanti dossier caratterizzati da un’interpretazione ragionieristica invece che strategica del caso F-35 o la definizione da parte di Bruxelles di una programmazione europea comune di sicurezza e difesa.
Il tema è, ovviamente, squisitamente politico e non può non interrogare le classi dirigenti di tutti i Paesi coinvolti (Italia compresa, impegnata proprio in questi mesi nella cruciale redazione del Libro Bianco).
Una riflessione che non passa solo dallo strumento militare, ma dalla riappropriazione della special relationship un po’ acciaccata tra le due sponde dell’Atlantico, che deve concretizzarsi anche attraverso un consolidamento dei rapporti commerciali e d’investimento – vedi il TTIP – tra Stati Uniti e Unione Europea.
L’Occidente, inteso come spazio non solo fisico ma anche di valori condivisi, gode tutt’ora della sua più lunga fase di pace e prosperità. Un periodo che però, nonostante le illusioni di cui ci eravamo ammantati, potrebbe non durare per sempre se non saremo capaci di cogliere in anticipo i mutamenti che già fanno capolino all’orizzonte.