Europa sotto attacco


Rivista Militare, maggio-giugno 2015

140617-iraq-isil-mn-1106_2d3c5a782b33a6335d8a937a97c7bc29.nbcnews-fp-1040-600-21Le manifestazioni endogene ed esogene del terrorismo contemporaneo, sorto negli Anni Sessanta del secolo scorso, non hanno – come noto – risparmiato l’Europa e tantomeno l’Italia. Sotto l’aspetto endogeno il continente europeo subisce da oltre mezzo secolo il terrorismo di sinistra e di destra, in entrambi i casi con radici e fini eterogenei, nonché quello riconducibile sia ad aspirazioni etnico-indipendentiste sia alla degenerazione di movimenti aventi specifici scopi socio-politici.

I protagonisti del terrorismo endogeno europeo non hanno, però, raggiunto gli stadi più avanzatati della conflittualità non convenzionale, ossia l’insorgenza e la guerra civile, potenzialmente idonei per produrre i risultati rivoluzionari da loro perseguiti. Parimenti, il terrorismo transnazionale di matrice soprattutto palestinese laica, che ad intervalli ha parallelamente colpito l’Europa, si è dimostrato incapace, da solo, di alterare gli assetti geopolitici ed i rapporti internazionali.

La non esaurita, benché affievolita, minaccia terroristica posta nei confronti dell’Europa dalle predette matrici è oggi offuscata dall’attrazione esercitata dal radicalismo islamico endogeno ed esogeno – il cosiddetto “jihadismo” – su elementi fanatici, deliranti e sanguinari che ricorrono all’aggressione, avvalendosi di strutture e dinamiche terroristiche, nel fallace convincimento di aderire a principi e precetti religiosi da loro arbitrariamente attribuiti all’Islam.

Significativi sviluppi, fra i più recenti, che illustrano la natura di questa minaccia caratterizzata da notevoli potenzialità rispetto a quella di altre matrici terroristiche, includono l’auto-proclamazione, avvenuta il 29 giugno 2014, sia del Califfato sia dello Stato Islamico intenzionalmente  privo di confini ad opera del sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria (qui appresso ISIS/IS dagli abituali acronimi in lingua inglese)[1] ed i successivi attentati commessi a Parigi e Copenhagen rispettivamente nei giorni 7-9 gennaio e 14-15 febbraio dell’anno in corso.

Per quanto riguarda le ripercussioni dell’ISIS/IS sull’Europa, Italia inclusa, tre sono gli aspetti, fra loro strettamente collegati, che nel contesto della sicurezza meritano specifica attenzione: la minaccia diretta, l’incognita dei cosiddetti “combattenti stranieri” e la problematica adozione di una concreta politica comune di contrasto.


La minaccia diretta

Nel ruolo di attore e promotore – attualmente munito di stanziamento territoriale in Iraq e Siria e di appendici fuori area, fra cui risaltano Derna e altre località libiche assai vicine all’Italia – l’ISIS/IS è una significativa componente del fenomeno palesemente più vasto del “jihadismo” dal quale non è né ideologicamente né operativamente scindibile.

Già prima del manifestarsi dell’ISIS/IS, l’Europa è stata teatro di atti terroristici di stampo radicale islamico. Basta citare, fra i più noti, quelli multipli e coordinati fra loro commessi contro obiettivi inermi, i mezzi pubblici di trasporto, a Madrid l’11 marzo del 2004 e successivamente a Londra il 7 e 21 luglio del 2005. Va parimenti ricordato che anni prima, ossia il 23 febbraio del 1998, la defunta figura portante di al-Qaida, Osama bin Laden, aveva ingiunto ai suoi correligionari – seppure abusivamente poiché sotto forma di fatwa o editto giuridico-religioso non di sua competenza – di ‹‹uccidere gli americani e i loro alleati, sia civili sia militari,[…]ovunque possibile››[2].

Sia per sua natura e fini sia per il modo pretestuoso di presentarsi, assolutamente reminiscente dell’ingiunzione di bin Laden ai correligionari islamici, l’ISIS/IS rientra pienamente nel modus operandi terroristico e disinformativo del “jihadismo” con la comprovata minaccia che ne consegue.

Allo stato attuale delle conoscenze nel pubblico dominio è arduo stabilire con certezza quanti e quali atti terroristici di stampo radicale islamico consumati in Europa siano direttamente, o indirettamente nella veste di istigatore, attribuibili all’ISIS/IS.

E’ tuttavia appurato che l’autoproclamato califfo Ibrahim, alias Abu Bakr al-Baghdadi, abbia minacciosamente dichiarato: ‹‹Grazie ad Allah ebrei e crociati saranno sconfitti. I musulmani vinceranno. I nostri nemici sono pietrificati dalla paura. Ci stiamo espandendo. E la marcia trionfante dei mujaheddin arriverà fino a Roma.››[3]. Significativamente, al-Baghdadi si è avvalso nella sua dichiarazione di un detto/profezia di Maometto, che prevedeva già d’allora la caduta di Roma, centro della cristianità occidentale, in mani islamiche. Inoltre, un fotomontaggio in cui la bandiera nera del sedicente Stato Islamico sventola su Roma viene trasmesso da mesi in rete[4]. A sua volta Abu Mohammed al-Adnani al-Shami, portavoce dell’ISIS/IS, ha dichiarato: ‹‹ … ci incontreremo a Gerusalemme, poi l’appuntamento è a Roma.››[5]. Una conferma delle mire europee dell’ISIS/IS è contenuta in un documento di 100 pagine da esso stilato e intitolato ‹‹The Islamic State (2015)››, in cui numerosi sono i riferimenti a Roma e vi si legge in particolare: ‹‹The Global Islamic Caliphate will surround and capture Europe (EU) from ALL sides, the West (Spain), the Centre (Italy, Rome) and the East (Turkey, Constantinople /Istanbul)››[6].

Non trascurabile è il fatto che in risposta alla minaccia di al-Baghdadi ed alla sua possibile attuazione siano state tempestivamente rinforzate le misure di sicurezza afferenti la persona del Papa[7].   

Da notare, altresì, che l’ISIS/IS avrebbe infatti da qualche tempo iniziato a costituire proprie cellule in Europa[8]. Inoltre, il su citato portavoce dell’ISIS/IS, nel tentativo di promuovere in via ausiliaria forme di terrorismo spontaneo, ha proposto metodologie alternative a seguaci ovunque presenti per colpire gli “infedeli”: ‹‹Se non avete una pistola, investiteli con la vostra macchina.››[9].

Benché rimanga da chiarire se i su menzionati atti terroristici – cruentamente commessi prima a Parigi ai danni della rivista satirica ‹‹Charlie Hebdo›› e di un esercizio alimentare kosher e poi a Copenhagen ai danni di un convegno sul tema ‹‹Arte, blasfemia e libertà di espressione›› e di una sinagoga – siano riconducibili all’ispirazione dell’ISIS/IS oppure all’influenza più genericamente “jihadista”, risaltano comunque circostanze significative: L’autore dell’attentato al supermercato ebraico ha asserito in un video, così incrementando l’aspetto intimidatorio, la propria fedeltà al califfo, ossia al-Baghdadi, e ha inoltre dichiarato direttamente agli ostaggi, per millanteria o meno, di far parte dello “Stato Islamico”[10]. Allo stesso tempo, in un altro video, l’aggregazione denominata al-Qaida nella Penisola Arabica si sarebbe attribuita la responsabilità dei fatti di Parigi[11]. E’ stato anche ipotizzato, sulla base di indizi, che le indagini potrebbero stabilire nessi di questa aggregazione, sotto forma di joint venture, con l’ISIS/IS[12].   

L’ISIS/IS non rifugge, peraltro, dal commettere rapimenti e barbariche uccisioni di cittadini europei e di altre nazionalità in area mediorientale come dimostrato dagli sgozzamenti, crudamente filmati e diffusi, dei britannici David Haines e Alan Henning. Il repertorio dell’ISIS/IS e di altre aggregazioni “jihadiste” parimenti include l’impiego di attentatori suicidi e di militanti adolescenti sistematicamente plagiati.

 

L’incognita dei “combattenti stranieri”

L’affluenza “jihadista” straniera soprattutto in Siria, ma pure in altre aree d’interesse per l’ISIS/IS e per la causa “jihadista”, costituisce un particolare rischio per l’Europa occidentale. Va subito precisato che in ogni riferimento a “combattenti stranieri” è assolutamente necessario l’uso delle virgolette perché è quantomeno dubbio che costoro possano essere considerati combattenti legittimi ai sensi delle convenzioni dell’Aia del 1907 e di Ginevra del 1949.

E’ difficile stabilire con esattezza quale sia la consistenza numerica dei “combattenti stranieri” di nazionalità tanto europea quanto extraeuropea. Sicuramente si tratta di migliaia. Tuttavia le stime variano, così come varia l’attendibilità e l’attualità delle fonti disponibili nel pubblico dominio, per altro assai eterogenee sia a livello statale che di ricerca privata.

Solo 25 degli 81 Stati dai quali sono partiti “combattenti stranieri” mettono a disposizione statistiche ufficiali. Né risulta che le aggregazioni attive in Iraq e Siria tengano traccia scritta dei volontari stranieri[13].

Gli stessi compilatori spesso tendono a distinguere tra stime basse ed alte. Puramente a titolo esemplificativo va rilevato che uno studio fissa il numero tra 3.300 e 11.000[14], un secondo tra 6.000 e 12.000[15] ed un terzo indica un’unica cifra di ‹‹circa›› 16.000[16]. Un’ulteriore stima raggiunge la cifra di circa 20.000[17].  In ogni caso non si può attribuire precisione al numero stimato, ma solo trarne un’indicazione approssimativa.     

Neppure semplice è il tentativo di calcolare quanti “combattenti stranieri” si siano mossi dall’Europa. Fra l’altro andrebbe distinto se si tratta di cittadini del continente europeo o di residenti con o senza permesso di soggiorno. Comunque, stando ad un calcolo comparativo, il 18% degli attuali “jihadisti” impegnati in Siria proviene dall’Europa occidentale, particolarmente da Francia, Regno Unito, Germania, Belgio e Olanda[18].

In termini numerici, secondo una fonte sarebbero oltre 2.000 quelli provenienti dai 28 Paesi dell’Unione Europea[19]. Un’altra fonte indica la stessa cifra aggiungendo, genericamente, che sono muniti di passaporti europei, quindi cittadini di Paesi europei ma non necessariamente appartenenti all’Unione Europea[20]. Ancora un’altra fonte riporta una stima numerica per l’intera Europa oscillante tra i 1.353 e i 2.054 elementi[21].  In quanto sarebbero circa 2.500 i “combattenti stranieri” provenienti dalla totalità dei Paesi occidentali[22], quelli recatisi dall’Europa costituirebbero un’altissima percentuale della componente occidentale. Da notare, però, che una fonte distingue tra Europa occidentale e il resto dell’Europa attribuendo alla prima 2.580 elementi e alla seconda 1.720[23].    

E’ altresì opportuno prendere nota della sproporzione numerica dei “combattenti stranieri” di provenienza europea rispetto alla popolazione dello Stato di cittadinanza o comunque di residenza. Cinque Paesi popolosi come la Germania, la Francia, il Regno Unito, la Spagna e l’Italia sarebbero il luogo di partenza di “combattenti stranieri” rispettivamente stimati in variabili nella misura di 34-240, 63-214, 43-366, 34-95 e 2-50 elementi. Da cinque Stati considerevolmente meno popolosi, ossia il Belgio, la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia e la Svezia, sarebbero partiti “combattenti stranieri” rispettivamente nella misura di 76-296, 25-84, 29-152, 33-40 e 39-87[24].

Per quanto riguarda l’Italia in particolare, dati comunicati dal Ministero dell’Interno a seguito dei su citati eventi di Parigi indicano, senza specifico riferimento alla destinazione, che ‹‹tra le 53 le persone finora coinvolte nei trasferimenti verso i luoghi di conflitto, che hanno avuto a che fare con l’Italia nella fase di partenza o anche solo in quella di transito, quattro hanno nazionalità italiana.››[25].       

Particolarmente arduo è poi stabilire quanti “combattenti stranieri” aderiscono ad altre aggregazioni piuttosto che all’ISIS/IS. Secondo la su citata fonte che fissa a 2.580 gli elementi europeo-occidentali recatisi in Iraq e Siria, la maggior parte si sarebbero associati all’ISIS/IS[26]. E’ stato comunque notato che frequentemente l’adesione ad un gruppo è dovuta a contatti locali o alla fama del gruppo stesso[27].

Non può esserci dubbio che, pur in mancanza – come spesso avviene – di precedente esperienza sul campo, i “combattenti stranieri” europei costituiscono un potente strumento di propaganda per la causa “jihadista” in generale e in pari misura per l’ISIS/IS, il quale si è appunto avvalso, come noto, di volontari di provenienza europea anche in qualità di propagandisti e “tagliagole”. Il concorso di “combattenti stranieri”, a prescindere dalla nazionalità, attribuisce al conflitto quantomeno sul piano propagandistico una dimensione globale[28].

Non esiste nel pubblico dominio, né verosimilmente in documentazione riservata, un profilo biografico esauriente dei “combattenti stranieri” e tantomeno per quanto riguarda l’aspetto psicologico. Non è quindi possibile descrivere compiutamente o assegnare una vera e propria graduatoria in percentuali alle pulsioni che inducono elementi “jihadisti” sia europei sia extraeuropei ad aggregarsi all’ISIS/IS o ad altri gruppi attivi in quell’area geopolitica[29]

La Siria è una meta appetibile per “combattenti stranieri” anche perché facilmente raggiungibile specialmente da chi proviene dall’Europa per via della Turchia[30] avvalendosi, ad esempio, di navi da crociera i cui vari approdi marittimi rendono più difficoltoso il monitoraggio[31] o utilizzando mezzi di trasporto terrestre per poi occultarsi fra profughi lungo le vie di transito[32]. Per chi, poi, è titolare di  passaporto rilasciato da Paesi dell’Unione Europea il passaggio è più agevole – ed attuabile anche per via aerea – dato che la Turchia non richiede in questo caso il visto d’ingresso[33]. Tutti questi vantaggi sarebbero ulteriormente rafforzati dalla presenza di elementi dell’ISIS/IS stabilitisi oltre i confini della Siria con la Turchia[34].

Ai predetti fattori vanno aggiunte le motivazioni personali, sia culturali sia psicologiche, che sono state esaminate in studi afferenti la materia e che sebbene non riguardino esclusivamente  la lusinga dell’ISIS/IS le sono attinenti.

L’attrazione primaria sarebbe l’opportunità di sostenere la lotta della propria parte di appartenenza data la spaccatura settaria tra sunniti e sciiti[35], aggravata da atrocità commesse da ogni parte coinvolta nel conflitto[36]. In assenza di truppe straniere impiegate in combattimenti terrestri in quell’area, almeno per ora si tratta di un contrasto interno all’Islam. Ciò non toglie, però, che il mondo occidentale, di cui l’Europa è la culla, sia contemporaneamente percepito come il nemico onnipresente[37].

Sotto l’aspetto religioso risaltano, in varie analisi condotte, ulteriori richiami: la consapevolezza che in testi religiosi sunniti proprio la Siria viene segnalata come il luogo dell’ultima battaglia apocalittica tra il bene e il male[38]; l’occasione propizia per morire da martire[39]; e la possibilità di vivere in un luogo soggettivamente percepito come in piena sintonia con i dettami dell’Islam[40].

Psicologicamente influirebbero, a loro volta, legami famigliari o di amicizia, frustrazioni esistenziali, ricerca di un senso d’identità e di uno scopo di vita[41] e il pretesto per fuggire da condizioni di vita sgradite[42].

Non è poi irrilevante il fatto che il disborso per raggiungere la Siria dall’Europa non è elevato, che il costo della vita in loco è basso e che i “combattenti” non solo vengono stipendiati, ma in determinati casi godono, dopo operazioni vittoriose, di una parte del bottino[43]

Inquietante è altresì la costatazione che un elevato numero di “jihadisti” occidentali siano recenti convertiti all’Islam[44] e che molti altri siano immigrati di seconda o terza generazione[45]. Questo spiegherebbe la conoscenza rudimentale dell’Islam da parte di una pluralità di “combattenti stranieri” e quindi la di loro obbedienza cieca a personaggi non autorevoli[46]. Ne segue che i reclutatori “jihadisti” – parimenti ai semplici facilitatori che agevolano appunto la presa di contatto e la trasferta[47] – si avvalgono di questi fattori, incluse le vulnerabilità personali dei potenziali candidati[48]

Numerose osservazioni e considerazioni rendono preoccupante nel contesto europeo – ma non solo – il fenomeno dei “combattenti stranieri”.

La loro presenza nell’area di crisi contribuisce a perpetuarne il conflitto, ad ispirare altri volontari e a rafforzare la relativa propaganda e la fede nella vittoria[49].

Ulteriormente inquietante è il loro rientro in Europa anche in considerazione del fatto che la maggior parte fanno ritorno nei Paesi di partenza[50].

Mentre è stato riscontrato che, per ora, solo una piccola minoranza dei “combattenti stranieri” rientrati da precedenti conflitti hanno posto in essere attentati nel Paese di provenienza, le stesse ricerche in materia indicano che coloro che successivamente vi si dedicano sono particolarmente pericolosi a seguito dell’esperienza acquisita. Un esempio sarebbe quello riguardante l’uccisione di tre persone all’interno del museo ebraico di Bruxelles il 24 maggio 2014 ad opera di un “jihadista” che aveva speso oltre un anno in Siria nelle fila dell’ISIS/IS sotto una precedente denominazione[51]

E’ stata altresì espressa la preoccupazione che è sufficiente un numero esiguo di rientranti per causare gravi danni con l’ausilio di moderne tecnologie[52] e che mentre la maggior parte dei rientranti non praticherà il terrorismo una minoranza per ora non quantificabile lo farà[53].

In sintesi, fra le potenziali azioni pericolose che i “combattenti stranieri” possono commettere una volta rientrati nei Paesi di provenienza sono annoverabili la radicalizzazione di altri elementi vantandosi delle loro imprese; la facilitazione della trasferta di reclute verso le zone di conflitto violento offrendo loro guida e contatti; l’invio di fondi e/o equipaggiamento in sostegno di fazioni attive in quelle zone; la ricerca, dopo un periodo di riposo, di altri lidi dove prestare la loro opera violenta; e la commissione di atti terroristici nel luogo di residenza[54].

Per quanto riguarda la commissione di atti terroristici da parte di “jihadisti” europei di seconda o terza generazione che abbiano o meno svolto il ruolo di “combattenti stranieri”, va sollevata un’ulteriore preoccupazione. Costoro, avendo acquisito una conoscenza più approfondita dell’ambiente in cui vivono, sono in condizione di selezionare miratamente i loro obbiettivi, oltre che operare in modo indiscriminato contro bersagli da loro comunque considerati “reprobi” ed “infedeli”.
  

La problematica adozione di una concreta politica di contrasto

Il forte afflusso, senza equiparabili precedenti, di “combattenti stranieri” nel sedicente Stato Islamico mette in dubbio l’efficacia di quanto sia stato fatto in Occidente – e particolarmente in Europa a seguito dell’inattesa tragedia dell’11 settembre del 2001 – per la comprensione del radicalismo e terrorismo islamico e delle cause che l’hanno prodotto[55].

I problemi da risolvere sono molteplici.

Nel settore dell’intelligence, intesa come raccolta ed analisi delle informazioni propedeutiche all’adozione di una politica di sicurezza, è necessario dare una non facile risposta a dei quesiti fondamentali:

• Quanti e chi sono i “combattenti stranieri”, tanto quelli che partono tanto quelli che rientrano?

• Di quali e quante risorse dispongono costoro?

• Quanti e chi sono i volontari esteri impegnati in Iraq e Siria precedentemente affiliati oppure non affiliati a congreghe estremiste?

• Quali sono e dove si trovano, precisamente, le strutture formali o informali di reclutamento?

• Quanti e quali “combattenti stranieri” si sono associati a ciascuna aggregazione “jihadista”?

• Quali compiti svolgono o hanno svolto: operativi, logistici, propagandistici[56]?

Non è possibile dare risposta a questi interrogativi in assenza di un monitoraggio mirato riguardante sia la presenza, i movimenti e le comunicazioni delle persone all’interno del territorio nazionale e lungo le frontiere, sia il flusso o il trasferimento di beni e capitali. Tale monitoraggio può richiedere l’infiltrazione indiretta o diretta di ambienti sospetti. L’opera di monitoraggio necessita, inoltre, di essere affiancata dalla spesso problematica condivisione di pertinenti informazioni fra Stati.

Una risposta sufficientemente esauriente ai predetti interrogativi faciliterebbe, in prima battuta, l’impostazione dei meccanismi per valutare concretamente, sia nel suo insieme sia nei casi specifici, il pericolo posto dai “combattenti stranieri” e, in seconda battuta, l’adozione delle misure d’adottare nei loro confronti che, a secondo dei casi, possono riguardare la prevenzione, la repressione o la riabilitazione/reintegrazione, sotto quest’ultimo aspetto con l’eventuale collaborazione di elementi “jihadisti” ravveduti e organizzazioni private.

L’impostazione della politica di contrasto è condizionata dall’eterogenea percezione dei singoli Stati nei confronti sia della minaccia e della risposta sia degli specifici interessi nazionali di varia natura da tutelare[57]. Sono stati citati, come esempi di questa problematica, il facile rilascio, dietro compenso, di passaporti europei con particolare riferimento a Malta[58]; l’acquisto da parte della Turchia di petrolio fornito di contrabbando dall’ISIS/IS a prezzi di svendita lungo la frontiera con Siria e Iraq[59]; il pagamento di riscatti per quattro ostaggi francesi, che avrebbe fruttato all’ISIS/IS $18 milioni[60]; e la sottovalutazione della minaccia dell’ISIS/IS da parte dei Paesi dell’Europa centrale[61].

E’ stato riscontrato che la radicalizzazione abbraccia il periodo che precede la partenza dei “combattenti stranieri”, il rafforzamento della stessa durante il soggiorno in area operativa e la perpetuazione successiva al rientro[62]. Allo stesso tempo le risorse disponibili in molti Paesi non sono sufficienti per il monitoraggio di ognuno di questi aspetti[63].

Mentre sarebbe utopistico presagire la risoluzione totale delle problematiche che già d’adesso devono essere affrontate e quelle che si presenteranno in futuro nel contesto dell’ISIS/IS e del fenomeno più vasto del “jihadismo”, una maggiore attenzione nazionale e collettiva, particolarmente con l’impiego dell’intelligence premonitoria, alle minacce e rischi  può contribuire sostanzialmente al relativo contenimento e allo sfruttamento ottimale delle risorse disponibili.


[1] Per un inquadramento dei fini, struttura, dinamiche, fonti di sostegno e sviluppi dell’ISIS/IS nello spettro potenzialmente progressivo della conflittualità non convenzionale vedi Vittorfranco Pisano “Stato Islamico di Iraq e Siria”: Riflessioni su Terrorismo, Propaganda e Disinformazione, ‹‹Rivista Militare››, gennaio-febbraio 2015.

[2] L’intero testo, tradotto in lingua inglese, è riportato in appendice in Magnus Ranstorp, Interpreting the Broader Context and Meaning of bin Ladin’s Fatwa, ‹‹Studies in Conflict and Terrorism››,Londra, ottobre-dicembre 1998.

[3] Citato in Lorenzo Cremonesi, Il Califfo ricompare in audio:”Conquisteremo Roma”, ‹‹Corriere della Sera››, 14 novembre 2014.

[4] Vedi Angelo Panebianco, Il Califfo a Roma? Non è uno scherzo, ‹‹Corriere della Sera››, 17 novembre 2014.

[5] Citato in Guido Olimpio, “Kobane libera”, i curdi esaltano Ma la battaglia non è ancora vinta, ‹‹Corriere della Sera››, 27 gennaio 2015.

[6] Il documento è apparso sul web. Una breve sintesi è disponibile in Fiorenza Sarzanini, ‹‹Missili e truppe, così prenderemo Roma›› I timori per il dossier dell’Isis su Internet Video, mappe, armi da impiegare. La propaganda per eccitare le ‹‹cellule dormienti›› in Europa, ‹‹Corriere della Sera››, 3 febbraio 2015.

[7] Vedi Massimo Franco, Il timore dei “lupi solitari” Innalzata la protezione per il Papa, ‹‹Corriere della Sera››, 20 novembre 2014.

[8] Come riportato in Katherine Zimmereman, Competing Jihad: The Islamic State and al-Qaeda, ‹‹Critical Threats››, 1 settembre 2014.

[9] Come citato in Guido Olimpio, Non serve un ordine dall’alto E’ il piano dei “mille tagli” per far sanguinare l’Occidente, ‹‹Corriere della Sera››, 23 dicembre 2014.

[10] D.F., Il video di Coulibaly con tunica e mitra: sono dell’ISIS, voi colpite e noi reagiamo, ‹‹Corriere della Sera››, 12 gennaio 2015.

[11] Vedi Guido Olimpio, Il video di Al Qaeda: A ordinare l’attacco il capo Al Zawahiri, ‹‹Corriere della Sera››, 15 gennaio 2015. Vedi altresì Oren Adaki, AQAP releases infographics detailing attacks, ‹‹The Long War Journal ››, 25 gennaio 2015.

[12]  Vedi Ely Karmon, Jihadi terror in Europe, ‹‹The Jerusalem Post››, 9 febbraio 2015.

[13] Richard Barrett, Foreign Fighters in Syria, The Soufan Group, New York, giugno 2014, p.12 (opera qui di seguito citata in nota come Barrett, Foreign Fighters).

[14] Sam Mullins, Foreign Fighters in Syria, ‹‹Per Concordiam››, George C. Marshall Center for European Security Studies, Vol. 5, No. 3, Settembre 2014, p.38.

[15] J. Skidmore, Foreign Fighter Involvement in Syria, International Institute for Counter-Terrorism, Herzliya, gennaio 2014, p.5.

[16] Greg Miller, Airstrikes against Islamic State do not seem to have affected flow of fighter to Syria, ‹‹The Washington Post››, 30 ottobre 2014.

[17] Trafiletto apparso sul ‹‹Corriere della Sera››, 28 febbraio 2015, p.17.

[18] Mullins, op.cit. p.36.

[19] Barrett, Foreign Fighters, p.14.

[20] Miller, op.cit.

[21] Skidmore, op.cit., p.39.

[22] Barrett, Foreign Fighters, p. 9. Un’altra fonte riporta, invece, 3.400 come provenienti dall’Occidente. Vedi succitato  trafiletto, ‹‹Corriere della Sera››, 28 febbraio 2015, p.17.

[23] Erin Marie Saltman  & Charlie Winter, Islamic State: The Changing Face of Modern Jihadism, Quilliam, 2014, p.45. 

[24] Mullins, op.cit., p.38.

[25] Vedi Fiorenza Sarzanini, Tra i combattenti italiani anche una donna, ‹‹Corriere della Sera››, 10 gennaio 2015.

[26] Saltman & Winter, op.cit., pp. 11 e 45.

[27] Barrett, Foreign Fighters, p.17.

[28] Skidmore, op.cit., p.16.

[29] La mancante disponibilità di una casistica esauriente permette solo di citare a titolo di esempio i pochi casi sufficientemente noti, come dimostrato in Lorenzo Vidino, European Jihadists in Syria: Profiles, Travel Patterns and Governmental Responses in Andrea Plebani (a cura di), New (and old) patterns of jihadism: al-Qa’ida, the Islamic State and Beyond, ISPI, Milano, 2014.

[30] The Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center (successivamente riportato in nota come Meir Amit Center), ISIS: Portrait of a Jihadi Terrorist Organization, Israeli Intelligence, pp.3-4.

[31] Kathy Gilsinan, Jihad, by Cruise Ship, ‹‹The Atlantic››, 7 novembre 2014.

[32] Skidmore, op.cit., p.47.

[33] Ibid, p.47.

[34] Vedi Allen McDuffee, Activists: ISIS IS Now Launching Attacks From Inside Turkey, ‹‹The Atlantic››, 29 novembre 2014.

[35] Ibid, p.6.

[36] Barrett, Foreign Fighters, p.18.

[37] Skidmore, op.cit., p.7.

[38] Ibid., p.48.

[39] Barrett, Foreign Fighters, p.18.

[40] Ibid, p.20.

[41] Skidmore, op.cit., pp. 14 e 18.

[42] Barrett, Foreign Fighters, p.21.

[43] Mullins, op.cit., p.37.

[44] Skidmore, op cit., p.12.

[45] Barrett, Foreign Fighters, p.17.

[46] Ibid, p.20.

[47] Vidino, op.cit., p.39.

[48] Skidmore, p.16.

[49] Ibid, pp.7-8 e Vidino, op.cit. p.31.

[50] Meir Amit Center, p.4.

[51] Vidino, op.cit., pp.31-33 e Skidmore, op.cit., p.9.

[52] Barrett, Foreign Fighters, p.7.

[53] Mullins, op.cit, p.39.

[54] Ibid., p.39 e Skidmore, op.cit., p.8.

[55] Barrett, Foreign Fighters, p.7.

[56] Per ulteriori attinenti considerazioni vedi Peter R. Neuman, Syrian Foreign Fighters: 10 Questions for Government, The International Center for the Study of Radicalisation, Londra, 21 novembre 2013 e Barrett, ibid, pp.21 e 26.

[57] Vedi Felix Arteaga, The European Union’s role in the fight against ISIS, European Union Leadership Network, 30 settembre 2014.

[58] Fausto Biloslavo, Passaporti UE in vendita e i terroristi ringraziano, ‹‹Il Giornale››, 11 novembre 2014.

[59] Trafiletto intitolato  La Turchia compra il petrolio dell’ISIS, ‹‹Il Giornale››, 14 settembre, 2014.

[60] Richard Barrett, The Islamic State, The Soufan Group, New York, novembre 2014, p.48. Il sospetto che riscatti, con relative conseguenze, siano stati pagati riguarda altri Paesi, inclusa anche recentemente l’Italia. Vedi Sergio Romano, Le ragazze rapite in Siria Tutti i costi del riscatto, ‹‹Corriere della Sera››, 20 Gennaio 2015 e Alberto Mattone, Da Bagdad  a Kabul, così l’Italia ha trattato, ‹‹la Repubblica››, 10 aprile 2007.

[61] Kacper Rekavek, The (Mistaken) Complacency on ISIS in Central Europe, European Leadership Network, 2 ottobre 2014.

[62] Skidmore, op.cit., p.7.

[63] Barrett, Foreign Fighters, p.7.